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Cronaca

Catania, confermato il carcere per Issan Lahmidi accusato di omicidio

L’uomo avrebbe ucciso Mohamed Mouna, il 26enne marocchino assassinato a Paternò lo scorso 4 febbraio, fermato a Milano 48 ore dopo il delitto

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La Procura di Catania ha emesso, proprio nei giorni scorsi,  un’ordinanza per l’applicazione nei confronti di Issan Lahmidi della misura cautelare della custodia in carcere. L’uomo è accusato dell’omicidio di Mohamed Mouna, il 26enne marocchino assassinato a Paternò lo scorso 4 febbraio in via Giovanni Verga a poche decine di metri dalla baraccopoli di Ciappe Bianche dove vivono in condizioni disumane lavoratori extracomunitari impegnati nella raccolta degli agrumi.  Lo scorso 6 febbraio i carabinieri dei comandi provinciali di Catania e Milano, hanno dato  esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso nei confronti di Issan Lahmidi per il reato di omicidio poi convalidato dal GIP di Milano, nel cui territorio era stato eseguito il fermo, e quindi, dal GIP di Catania, competente per territorio.

L’omicidio del giovane Mouna era avvenuto nelle prime ore del pomeriggio del 4 febbraio, nell’area parcheggio di un distributore di benzina in via Giovanni Verga; qui  la vittima, come accertato dalle immagini delle telecamere di sorveglianza,  aveva litigato furiosamente con un uomo che al culmine del litigio lo aveva accoltellato improvvisamente al petto e al fianco per poi fuggire via a bordo di uno scooter.  In tale contesto  i carabinieri della compagnia di Paternò, nell’arco di 48 ore, dopo avere sentito numerosi conoscenti della vittima ed esaminato accuratamente le immagini della telecamera, hanno acquisito elementi che avrebbero consentito  di individuare in Issan  Lahmidi  il presunto responsabile dell’omicidio . Carabinieri che hanno accertato che Lahmidi non era reperibile nel territorio ma le indagini hanno permesso di seguirne le tracce dapprima in Campania e, successivamente, nel suo percorso verso l’Italia settentrionale, fino a giungere, nella serata del 5 febbraio, a Milano.

A quel punto, grazie al supporto dei militari del Nucleo Investigativo di Milano, guidati in tempo reale dalle indicazioni dei carabinieri di Paternò che controllavano i movimenti dell’uomo, verso ora di pranzo del 6 febbraio, si riusciva a rintracciare e a catturare il presunto omicida presso la Stazione Centrale di Milano: l’uomo stava per salire su un treno diretto fuori dai confini italiani, nel territorio francese alla volta di Parigi.  L’uomo, destinatario del provvedimento di fermo emesso dalla Procura di Catania,  è stato condotto presso la Casa Circondariale di Milano – San Vittore. L’arresto  è stato convalidato dall’Autorità Giudiziaria di Milano che ha successivamente gli atti al GIP di Catania per competenza territoriale.

Cronaca

Ss284, violento impatto nei pressi di S.M. Di Licodia

Sul posto due ambulanze del 118

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Un violento impatto si è verificato intorno alle 16:30 di oggi sulla SS284 poco distante dallo svincolo di Santa Maria di Licodia in territorio di Paternò. Ad impattare semi frontalmente una Ford Ka ed una Peugeot 207. Al momento non è nota l’esatta dinamica del sinistro. Sul posto sono subito giunte due ambulanze del 118 che hanno preso in carico tre persone rimaste ferite non in maniera grave. Due di loro, gli occupanti della Peugeot, un uomo ed una donna, sono stati trasportati al Pronto Soccorso di Paternò mentre un ragazzo che viaggiava a bordo della Ford è stato trasferito al vicino nosocomio biancavillese. Il traffico sta subendo pesanti rallentamenti in entrambe le direzioni di marcia.

+++NOTIZIA IN AGGIORNAMENTO+++

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Cronaca

Biancavilla, sequestrati beni per oltre 3 milioni di euro ad imprenditore del posto

Si tratta di un 51enne attivo nel settore dei trasporti e ritenuto dalla procura etnea elemento vicino all’associazione mafiosa Tomasello-Mazzaglia-Toscano

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I carabinieri del nucleo Investigativo del comando provinciale di Catania  hanno sequestrato beni pari a oltre tre milioni di euro all’imprenditore Carmelo Militello, 51 anni, ritenuto dalla procura, elemento vicino all’associazione mafiosa Tomasello-Mazzaglia-Toscano, attiva nei territori di Adrano e Biancavilla e riconducibile alla ‘famiglia’ Santapaola -Ercolano. Nei suoi confronti è stato eseguito un provvedimento emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale etneo su richiesta della locale Procura distrettuale su indagini patrimoniali della sezione Criminalità economica di militari dell’Arma eseguite tra il 2016 e il 2022.

I carabinieri hanno evidenziato una “notevole sperequazione” tra il reale tenore di vita della famiglia ed i redditi dichiarati, giustificabile solo attraverso il riciclaggio, secondo la Procura, dei “proventi illeciti generati appunto dall’appartenenza di Militello alla criminalità organizzata”.  Le imprese interessate dal sequestro finalizzato alla confisca sono intestate ai due figli di Militello; aziende con sede ad Adrano e  Biancavilla. Sigilli sono stati posti anche all’abitazione familiare, una villa di Santa Maria di Licodia con piscina.  Secondo l’accusa le due società sarebbero “state sotto il controllo delle organizzazioni mafiose non lasciando spazio alla concorrenza in virtù di un patto siglato tra i vertici criminali dei due comuni etnei”. Secondo diversi collaboratori di giustizia, “la figura di Militello sarebbe stata scelta e imposta sia dai vertici dell’associazione mafiosa di Biancavilla, prima dai fratelli Vito e Pippo Amoroso con il beneplacito di Alfio Ambrogio Monforte, e poi da Giuseppe Mancari, sia dal clan Santangelo- Scalisi di Adrano”.

Secondo la Procura, l’indagato avrebbe “avuto il ruolo di prestanome e a lui sarebbe stata affidata la gestione della cosiddetta ‘agenzia’ di Biancavilla, deputata al carico delle merci, soprattutto prodotti agroalimentari, i cui introiti sarebbero andati per la maggior parte al clan”. In sostanza, contesta l’accusa, “l’agenzia avrebbe avuto un ruolo di intermediazione tra i titolari dei magazzini che raccolgono i prodotti lavorati nei campi e gli autotrasportatori, pretendendo da entrambi delle somme di denaro in percentuale al peso della merce da trasportare”. Una condotta che, ricostruisce la Dda di Catania, “sembra integrare una estorsione, obbligatoria per poter lavorare su quel territorio, notoriamente ricco di aziende agrumicole, che alterava il mercato senza possibilità di scelta di servizi alternativi, e che veniva alimentata dalla forza intimidatrice delle famiglie mafiose”.

 

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