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In Primo Piano

S.M. di Licodia, continuano le ricerche del bambino tunisino scomparso

Bocche cucite da parte degli inquirenti che stanno vagliando ogni pista

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Indagini serrate e bocche cucite, quelle dei Carabinieri della Compagnia di Paternò e della Stazione di Santa Maria di Licodia sul fronte delle ricerche del bambino di 10 anni di origine tunisina che ha fatto perdere le proprie tracce da 2 giorni. Il minore, al momento della scomparsa, viveva all’interno di un’abitazione, in disponibilità di una cooperativa che si occupa di accoglienza ai rifugiati. A diffondere la notizia della scomparsa del bambino, tramite una fotografia e le descrizioni delle caratteristiche fisiche dello stesso, erano state le forze dell’ordine, nel tardo pomeriggio di ieri. Da quel momento, era partito un tam tam mediatico tale da interessare anche le reti nazionali, come la trasmissione “Chi l’ha visto?” di Rai 3, che ha mandato in onda il servizio. Ad indagare sulle scomparsa, sin da subito, sono stati i Carabinieri della Compagnia di Paternò insieme ai colleghi della Stazione di S.M di Licodia. Secondo quanto appreso informalmente, sembrerebbe trattarsi di un allontanamento volontario. Alla base di tale gesto potrebbe esserci un provvedimento del Tribunale dei minori che dispone lo spostamento del giovane ad altri affidatari. Il bambino, giunto in Italia nel 2021, in questi anni, avrebbe vissuto in paese con due donne ritenute sin dall’inizio della vicenda, legate a lui da un rapporto di parentela. Ipotesi, quest’ultima, che sarebbe al vaglio degli inquirenti insieme alla posizione di altri soggetti che potrebbero aver avuto un ruolo centrale nella scomparsa del bambino. A rendere ancora più intrigata la vicenda, un messaggio di una delle presunte sorelle all’interno di una chat whatsapp del calcetto dove scrive “io sono la sorella l’abbiamo trovato e lui sta bene”.

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S.M. Di Licodia, Francesco Rapisarda lascia la giunta Buttò

Alla base non una frattura politica bensì motivi personali

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Sono state protocollate oggi al Comune di Santa Maria di Licodia le dimissioni dal ruolo di assessore comunale da parte di Francesco Rapisarda, esponente locale di Fratelli d’Italia e vicino alla premier Giorgia Meloni. “È con estremo rammarico” si legge nella lettera protocollata oggi, “che mi trovo costretto a rassegnare le mie dimissioni dall’incarico di Assessore alla Polizia Municipale, Viabilità e Verde Pubblico. Tengo a precisare che tale decisione trae origine da motivazioni di natura esclusivamente personale: nel corso degli ultimi mesi è diventato per me sempre più problematico riuscire a conciliare impegni professionali e privati con un’azione amministrativa”.

Se da un lato, dunque, il sindaco Giovanni Buttò non ha ancora ridistribuito le deleghe assessoriali dopo l’ingresso in giunta del consigliere Ignazio Sidoti, dall’altro parte già il toto nomi di chi potrebbe prendere il posto dell’ormai ex assessore  Rapisarda. Nel frattempo, comunque, già nelle scorse settimane, secondo voci di corridoio, il papabile potrebbero essere un giovane imprenditore licodiese. Su questo, comunque, al momento le bocche rimangono cucite e nulla trapela dal palazzo di città. Non rimarrà adesso altro che attendere le mosse del primo cittadino licodiese, per scoprire chi sarà il nuovo assessore di questa travagliata amministrazione Buttò.

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Cronaca

Biancavilla, sequestrati beni per oltre 3 milioni di euro ad imprenditore del posto

Si tratta di un 51enne attivo nel settore dei trasporti e ritenuto dalla procura etnea elemento vicino all’associazione mafiosa Tomasello-Mazzaglia-Toscano

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I carabinieri del nucleo Investigativo del comando provinciale di Catania  hanno sequestrato beni pari a oltre tre milioni di euro all’imprenditore Carmelo Militello, 51 anni, ritenuto dalla procura, elemento vicino all’associazione mafiosa Tomasello-Mazzaglia-Toscano, attiva nei territori di Adrano e Biancavilla e riconducibile alla ‘famiglia’ Santapaola -Ercolano. Nei suoi confronti è stato eseguito un provvedimento emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale etneo su richiesta della locale Procura distrettuale su indagini patrimoniali della sezione Criminalità economica di militari dell’Arma eseguite tra il 2016 e il 2022.

I carabinieri hanno evidenziato una “notevole sperequazione” tra il reale tenore di vita della famiglia ed i redditi dichiarati, giustificabile solo attraverso il riciclaggio, secondo la Procura, dei “proventi illeciti generati appunto dall’appartenenza di Militello alla criminalità organizzata”.  Le imprese interessate dal sequestro finalizzato alla confisca sono intestate ai due figli di Militello; aziende con sede ad Adrano e  Biancavilla. Sigilli sono stati posti anche all’abitazione familiare, una villa di Santa Maria di Licodia con piscina.  Secondo l’accusa le due società sarebbero “state sotto il controllo delle organizzazioni mafiose non lasciando spazio alla concorrenza in virtù di un patto siglato tra i vertici criminali dei due comuni etnei”. Secondo diversi collaboratori di giustizia, “la figura di Militello sarebbe stata scelta e imposta sia dai vertici dell’associazione mafiosa di Biancavilla, prima dai fratelli Vito e Pippo Amoroso con il beneplacito di Alfio Ambrogio Monforte, e poi da Giuseppe Mancari, sia dal clan Santangelo- Scalisi di Adrano”.

Secondo la Procura, l’indagato avrebbe “avuto il ruolo di prestanome e a lui sarebbe stata affidata la gestione della cosiddetta ‘agenzia’ di Biancavilla, deputata al carico delle merci, soprattutto prodotti agroalimentari, i cui introiti sarebbero andati per la maggior parte al clan”. In sostanza, contesta l’accusa, “l’agenzia avrebbe avuto un ruolo di intermediazione tra i titolari dei magazzini che raccolgono i prodotti lavorati nei campi e gli autotrasportatori, pretendendo da entrambi delle somme di denaro in percentuale al peso della merce da trasportare”. Una condotta che, ricostruisce la Dda di Catania, “sembra integrare una estorsione, obbligatoria per poter lavorare su quel territorio, notoriamente ricco di aziende agrumicole, che alterava il mercato senza possibilità di scelta di servizi alternativi, e che veniva alimentata dalla forza intimidatrice delle famiglie mafiose”.

 

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