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Catania, processo “Università Bandita” fermo per questione legittimità costituzionale

La problematica è stata sollevata dalla Procura sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, congelando cosi i termini per la prescrizione e disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale

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Il processo “Università bandita” in corso a Catania su presunti concorsi truccati nell’ateneo, al momento “segna il passo”.  La seconda sezione penale del Tribunale esprimendosi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Procura sull’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale, vale a dire il reato di abuso d’ufficio, ha “congelato” i termini per la prescrizione e disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per tutti gli imputati e per tutti i capi di imputazione perché tra loro potenzialmente interconnessi. A processo ci sono 51 imputati per cui la Procura ha chiesto 39 condanne e 12 assoluzioni.

Decine i capi d’imputazione che riguardano, a vario titolo, corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. L’inchiesta da cui è scaturito il processo è quella condotta dalla Digos della Questura e coordinata dalla Procura etnea. Quando scattò, nel 2019, portò alle dimissioni dell’allora rettore Francesco Basile e la programmazione di nuove elezioni universitarie. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni sarebbero stati predisposti a tavolino una serie di bandi e di assegnazioni di cattedre. E in questa indagine sono finiti anche l’ex rettore Giacomo Pignataro e diversi ex direttori di dipartimento.

 

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Sicilia, caso “Diciotti”, Cassazione accoglie ricorso migranti, Governo deve risarcirli

A presentarlo un gruppo di eritrei a cui nel 2018 fu impedito, dall’allora ministro Salvini, di sbarcare dalla nave della Guardia Costiera, che li aveva soccorsi in mare. I profughi avevano chiesto che gli fosse risarcito il danno morale determinato dalla privazione della libertà

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FOTO "ANSA"

E’ scontro aperto tra governo e magistratura. La Cassazione ha accolto il ricorso presentato da un gruppo di migranti eritrei a cui, dal 16 al 25 agosto del 2018 fu impedito dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini di sbarcare dalla nave Diciotti della Guardia Costiera, che li aveva soccorsi in mare. I profughi avevano chiesto che il Governo risarcisse loro il danno morale determinato dalla privazione della libertà, ma l’istanza era stata bocciata dalla corte d’appello di Roma.

Da qui l’impugnazione in Cassazione che ha dato ragione ai migranti, rinviando al giudice di merito la quantificazione del danno, ma di fatto condannando il Governo. Le reazioni dell’esecutivo non si sono fatte attendere: “non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante”, attacca la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sui social.

Più duro ancora Matteo Salvini che parla di “sentenza vergognosa e invita i giudici a pagare di tasca loro, “se amano tanto i clandestini”. Mentre l’altro vicepremier Antonio Tajani torna a sostenere che il dovere del Governo è di difendere i confini nazionali: “Ma se tutti gli immigrati irregolari chiedessero un risarcimento facciamo fallire le casse dello Stato”. Un po’ il concetto sottolineato dal Guardasigilli Carlo Nordio, che ha accusato i giudici di non tener conto delle “conseguenze devastanti” di certe decisioni. “Aldilà del rigore della legge formale e della sua applicazione – dice critico il ministro – bisogna stare attenti ai risultati, che possono essere devastanti in altri settori”.

Mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi osserva: “Le sentenze si rispettano ma si possono commentare, con profondo rispetto eseguiremo questa sentenza ma non la condivido affatto”. Un fuoco di fila che ha costretto la prima presidente della Suprema Corte Margherita Cassano a diramare un comunicato stampa. Un gesto quasi del tutto inedito. “Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica – scrive il magistrato – Sono invece inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto”. E la sezione della Cassazione della Giunta dell’Anm rincara la dose: “pretesti per attaccare la magistratura”. Con le toghe si schiera la segretaria del Pd Elly Schlein: “Giorgia Meloni continua ad alimentare lo scontro con la magistratura per coprire i fallimenti del suo governo.

Ma la Cassazione è l’ultimo grado di giudizio, come stabilito dalla Costituzione, che non cambia in base al suo umore”, dice in linea con il leader del M5s Giuseppe Conte secondo il quale la premier “usa il caso Diciotti in modo miserevole”. La decisione, per l’autorevolezza dell’organo che l’ha emessa, avrà un peso sulle future questioni giudiziarie in materia. A cominciare dalla vicenda processuale, conclusa con l’assoluzione in primo grado del leader leghista, della nave Open Arms che vedeva imputato Salvini con l’accusa di sequestro di persona. Stesse accuse del caso Diciotti, finito nel nulla per il no all’autorizzazione a procedere espresso dal Senato.

La Procura di Palermo, che ha istruito il processo Open Arms e che certamente ricorrerà in appello contro l’assoluzione di Salvini, avrà dalla sua il provvedimento delle sezioni unite che, peraltro, sembra recepire il ragionamento dei pm in diversi punti. Come sul principio che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare non possa considerarsi un atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. “E’ un atto amministrativo e perciò sindacabile”, dicono le sezioni unite.

Anche sull’obbligo di soccorso in mare, poi, la Corte sembra pensarla come la Procura. “Corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere di tutti i soggetti che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità e come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”, scrivono i giudici. Netta la corte anche sul fatto che l’Italia avrebbe dovuto organizzare lo sbarco, “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”.

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Operazione “Meteora” Scarcerato Cristian Calvagno, il Gip tiene conto delle condizioni di salute

L’avvocato Giuseppe Lipera, difensore di Calvagno, aveva avanzato numerose richieste, sostenendo che l’indagato “soffre di una grave depressione ed è tormentato da un forte senso di colpa per la malattia del figlio minorenne”

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Il gip di Catania ha preso una decisione importante riguardo l’indagato Cristian Calvagno, imponendogli l’obbligo di dimora nel suo paese d’origine, Biancavilla, e l’obbligo di presentarsi periodicamente alla polizia giudiziaria. Questo provvedimento è arrivato dopo che Calvagno, arrestato nel novembre 2024 nell’ambito dell’operazione Meteora, era stato coinvolto in un’inchiesta su un’associazione mafiosa legata al clan Santangelo di Adrano e alla frangia del clan Mazzei. Il suo arresto aveva suscitato notevole attenzione, ma la sua condizione di salute ha avuto un ruolo cruciale nel provvedimento del giudice.

Calvagno, il 20 gennaio scorso, aveva tentato il suicidio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), dove è detenuto, assalito dai sensi di colpa per non poter accudire il figlio molto malato.

L’avvocato Giuseppe Lipera, difensore di Calvagno, aveva avanzato numerose richieste, sostenendo che la detenzione in carcere fosse incompatibile con la salute dell’indagato. In particolare, Lipera aveva sottolineato una situazione psicologica e fisica critica: Calvagno soffre di una grave depressione, è tormentato da un forte senso di colpa per la malattia del figlio minorenne, e ha perso notevoli chili, circa 15, che ne hanno peggiorato le condizioni fisiche.

Un aspetto centrale della decisione del gip Montoneri è stato che, nonostante i ripetuti solleciti, le informazioni sulle condizioni di salute di Calvagno non sono state adeguatamente fornite dal carcere di Santa Maria Capua Vetere e dal personale sanitario. Questo ha portato alla decisione di trasferire gli atti alla Procura di Santa Maria Capua Vetere e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) affinché vengano adottate misure appropriate, in particolare per quanto riguarda la gestione sanitaria dell’indagato e le responsabilità del direttore del carcere.

Il provvedimento dell’obbligo di dimora, pur tenendo conto della salute di Calvagno, non esclude il proseguimento delle indagini e l’eventuale evoluzione della situazione legale.

Adrano, operazione “Meteora”: fatta luce su caso di “lupara bianca”

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