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giudiziaria

Catania, stupro ragazzina villa Bellini, chiesti 10 anni per il minorenne

Nella requisitoria i Pm hanno esaminato il quadro accusatorio composto dalle testimonianze delle vittime sia della ragazzina violentata che del fidanzatino immobilizzato e picchiato

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A Catania nel processo in corso per lo stupro della ragazzina alla Villa Bellini avvenuto alla fine dello scorso mese di gennaio e per il quale sono stati arrestati dei cittadini extracomunitari di nazionalità egiziana il procuratore dei minori Carla Santocono e il sostituto Orazio Longo del Tribunale dei Minorenni di Catania hanno chiesto la condanna a 10 anni per uno dei giovani, componenti del branco che ha stuprato una tredicenne nei bagni pubblici del parco comunale.

Nella requisitoria i Pm hanno esaminato il quadro accusatorio composto dalle testimonianze delle vittime sia della ragazzina violentata che del fidanzatino, immobilizzato e picchiato, che non ha potuto difenderla, sentiti con il filtro dell’incidente probatorio, dalla prova scientifica del Dna (il profilo genetico trovato è riferibile all’altro minorenne coinvolto, che sta invece affrontando il rito abbreviato) e dai riscontri investigativi anche su analisi sui social.

Il difensore, l’avvocato Gian Marco Gulizia, ha chiesto invece al Tribunale di assolvere l’imputato per “non aver commesso il fatto”. Il processo è stato aggiornato al prossimo 16 dicembre, data in cui i giudici minorili dovrebbero ritirarsi in camera di consiglio per emettere la sentenza.

 

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Catania, condannate tre dottoresse per un cesareo ritardato

La sentenza è stata emessa oggi dai giudici della terza sezionale penale del Tribunale del capoluogo etneo

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Sono state condannate a sei anni ciascuno di reclusione due dottoresse dell’ex ospedale Santo Bambino, Gina Currao e Amalia Daniela Palano, accusate di falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. La sentenza è stata emessa dai giudici della terza sezionale penale del Tribunale di Catania.

Il processo ha riguardato l’inchiesta relativa alla nascita del 2 luglio del 2015 di un bimbo con gravissimi disturbi neurologici perché, secondo l’accusa, a fine turno avrebbero tardato a intervenire con un parto cesareo per non restare ancora al lavoro. Il collegio sul capo di imputazione di lesioni gravissime colpose non si è espresso, trasmettendo gli atti alla Procura per valutare il profilo del dolo eventuale.

Nel processo l’azienda ospedaliera Vittorio Emanuele, a cui faceva capo l’ospedale Santo Bambino, è entrata con il doppio ruolo di responsabile e parte civile ed è stata condannata in solido al pagamento dei danni morali, da stabilire altra sede, alle parti civili, i genitori del bambino. I giudici hanno disposto il pagamento di una provvisionale da parte dell’Azienda e delle due dottoresse di 150 mila euro ciascuno ai genitori del bambino, mentre, a loro volta, Currao e Palano dovranno risarcire personalmente l’ospedale con 20mila euro ciascuno.

Il Tribunale ha condannato a cinque anni di reclusione una terza dottoressa, Paola Cairone, per falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici e al risarcimento, in solido con l’azienda, di 100 mila euro ai genitori del piccolo e, personalmente, a 15 mila euro all’ospedale. Le tre dottoresse sono state interdette in perpetuo dei pubblici uffici e legalmente per la durata della pena.

Il Tribunale ha trasmesso alla Procura gli atti delle deposizione di un teste per falsa  testimonianza. Amalia Daniela Palano e Gina Currao sono accusate di non avere eseguito subito un parto cesareo per “evitare di rimanere a lavorare oltre l’orario previsto, nonostante i molteplici episodi di sofferenza fetale emersi dal tracciato, somministrato alla gestante dell’atropina per simulare una inesistente regolarità nell’esame medico”.

Nelle indagini della sezione di Pg della polizia della Procura, è entrata anche la dottoressa Paola Cairone che, secondo l’accusa, “pur non essendo a conoscenza degli avvenimenti precedenti, praticava alla paziente per due volte le manovre di Kristeller, tecnica bandita dalle linee guida, nonostante un tracciato non rassicurante e non contattava in tempo il neonatologo che effettuava l’intervento di rianimazione con gravissimo ritardo”.

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Catania, inflitti 27 anni all’uomo che ferì la moglie e uccise l’amica della donna

La Corte d’assise ha condannato il 53enne Piero Nasca, accusato di avere travolto volontariamente con l’auto la moglie Anna Longo, che voleva lasciarlo e l’amica di quest’ultima, Cettina De Bormida

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E’ stata condannato a 27 anni di reclusione dalla quarta sezione della Corte d’assise di Catania Piero Nasca, il 53enne accusato di avere travolto volontariamente con la propria auto, il 10 giugno del 2023, la moglie Anna Longo, di 57 anni, che voleva lasciarlo, ferendola, e un’amica della donna, Cettina ‘Cetty’ de Bormida, di 69, uccidendola.

La Procura aveva chiesto 24 anni di carcere.Il collegio, presieduto da Maria Pia Urso, ha riconosciuto l’imputato parzialmente incapace di mente. Nasca e il fondo di garanzia “Vittime delle strade” sono stati condannati, in solido, al risarcimento danni alle parti civili da stabilire in sede giudiziaria, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva di 150 mila euro al figlio della donna uccisa, Christian Tringale, e di 50mila euro alla moglie dell’imputato, Anna Longo, che ha avviato l’iter per la separazione legale dall’uomo.

La Corte d’assise ha disposto anche che Nasca, dopo avere scontato la pena, sia sottoposto alla misura di sicurezza del ricovero in una comunità terapeutica per la durata minima di tre anni. Il legale dell’imputato, l’avvocato Fabio Presenti, ha annunciato che presenterà ricorso contro la sentenza non appena saranno depositate le motivazioni.  Secondo la tesi della Procura, Nasca avrebbe “volontariamente” travolto la moglie e l’amica, e sul corpo di quest’ultima “sarebbe passato almeno due volte, fino a provocarne la morte”.

Anna Longo voleva lasciare il marito ed aveva già preso contatti con un avvocato per avviare le pratiche per la separazione e aveva chiesto di poter essere accompagnata in una clinica da un’amica per maggiore cautela e il marito era andata a prenderla. “Mi sono innervosito, quando le ho visto andare via a piedi ho accelerato e le ho investite”, ha sostenuto Nasca che dopo avere travolto le due donne si sarebbe fermato in un bar poco distante, dove avrebbe riferito ad un dipendente di aver ucciso la moglie perché non ne poteva più e di avere poi telefonato al numero unico di emergenza, confessando tutto. Nasca fu fermato da personale della squadra mobile della Questura di Catania che indagò sul caso.

 

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