Ultimo grado di giudizio per la morte dell’imprenditore agricolo paternese, Fortunato Caponnetto, conosciuto con il nome di Renato, scomparso l’8 aprile del 2015.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello del Tribunale di Catania, espressasi a conclusione di un processo col rito abbreviato, nei confronti dei cinque imputati: Carmelo Aldo Navarria, uomo di fiducia del clan Pulvirenti ( u malpassotu) di Belpasso; Gianluca Presti e Francesco Carmeci (tutti e tre collaboratori di giustizia), Gaetano Doria e Stefano Prezzavento.
Confermate, dunque, le condanne inflitte in secondo grado per Carmelo Aldo Navarria, condannato a 8 anni di reclusione; identica pena è stata inflitta a Gianluca Presti; 6 anni, invece, per Francesco Carmeci; pene ben più consistenti per Gaetano Doria e Stefano Prezzavento che dovranno scontare 14 anni a testa.
Relativamente alla scomparsa e morte di Fortunato Caponnetto, dalle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Catania, coordinate dalla Dda etnea, emerse come a far scattare il movente furono una serie di concause. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori Caponnetto aveva prima dato e poi negato l’assenso ad assumere Navarria nella sua azienda, preferendo al suo posto un presunto appartenente ad un altro clan.
Navarria era stato scarcerato il 23 giugno del 2014, dopo aver scontato 26 anni e mezzo di carcere per sei omicidi; a questo fatto si aggiungono una serie di dissidi nati per un debito che un suo parente aveva contratto con una cosca e di cui lui si era fatto garante.
Truce la ricostruzione degli ultimi istanti di vita dell’uomo. Secondo l’accusa, Caponnetto, attirato nella villetta in costruzione di Navarria, alla periferia di Belpasso, fu prima picchiato poi strangolato con il metodo della garrota. Per sbarazzarsi del cadavere dell’imprenditore gli venne dato fuoco con vecchi pneumatici.
I giudici della Corte di Cassazione hanno, inoltre, confermato il risarcimento di 30mila euro per il danno all’immagine al Comune di Belpasso, parte civile nel processo. «La costituzione civile in un processo penale – ha affermato il sindaco di Belpasso, Daniele Motta – è una scelta doverosa nei confronti dei nostri concittadini per garantire la predominanza della legalità nel nostro territorio. Riteniamo che questa debba essere la strada che tutte le amministrazioni devono intraprendere per difendere la società civile».