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giudiziaria

Catania, condanna a 30 anni di reclusione per Martina Patti, uccise la figlia di 5 anni

La sentenza accoglie in pieno le richieste dell’accusa che avevano chiesto l’applicazione delle attenuanti generiche

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A Catania la prima Corte d’assise di Catania  ha condannato a 30 anni di reclusione Martina Patti, la 25enne rea confessa dell’omicidio della figlia Elena, di quasi 5 anni, uccisa nel giugno del 2022 e seppellita in un campo vicino casa, a Mascalucia.  La sentenza accoglie in pieno le richieste del procuratore aggiunto Fabio Scavone e la sostituta Assunta Musella che avevano chiesto l’applicazione delle attenuanti generiche. L’accusa le contestava i reati di omicidio premeditato aggravato, occultamento di cadavere e simulazione di reato.

I nonni paterni e il padre della piccola vittima si sono costituti parte civile con l’avvocato Barbara Ronsivalle. L’imputata è assistita dai penalisti Gabriele Celesti e Tommaso Tamburino che avevano chiesto l’assoluzione per incapacità di intendere e di volere e in subordine il riconoscimento delle attenuanti generiche e l’esclusione dell’aggravante della premeditazione.   L’imputata era in aula alla lettura della sentenza.

La donna avrebbe ucciso la piccola nel luogo del ritrovamento, un campo abbandonato vicino casa e poi avrebbe finto il sequestro della bambina all’uscita dall’asilo. Martina Patti ha confessato il delitto, ma non ha spiegato il movente.   La sera prima di essere uccisa, la bambina ha dormito dai nonni. La mattina dopo la zia l’ha accompagnata all’asilo e la madre è andata a riprenderla ed è tornata a casa, a Mascalucia. Successivamente Martina Patti è uscita nuovamente con l’auto, per creare un diversivo, quindi è ritornata nell’abitazione.

E’ in quel lasso di tempo che sarebbe stato commesso il delitto, in un terreno abbandonato dove la madre ha seppellito il corpicino, nascosto in cinque sacchi di plastica nera e semi sotterrato con una pala e un piccone. La 25enne ha fatto scattare la messa in scena: ha avvisato per telefono del falso sequestro i genitori e il padre di Elena, il suo ex compagno Alessandro Del Pozzo, è tornata a casa e dopo, accompagnata dalla madre e dal padre, è andata dai Carabinieri a denunciare il falso rapimento. Ai militari dell’Arma ha associato il sequestro ad alcune minacce che nel 2021 l’ex convivente aveva trovato davanti al cancello di casa, ma la sua versione non ha retto ai riscontri e alle indagini dei carabinieri e alle contestazioni mosse dalla Procura di Catania.

 

Cronaca

Biancavilla, condanne con l’ordinario per 5 persone coinvolte nell’inchiesta “Città Blindata”

Gli imputati sono stati condannati anche a risarcire il danno al comune di Biancavilla che si è costituito parte civile. Il valore del risarcimento dovrà essere calcolato dal giudice civile

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Arrivano le condanne col rito ordinario, dopo quelle inflitte con l’abbreviato, per cinque persone indagate nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Città Blindata”, messa in atto nel febbraio del 2019 dalle forze dell’ordine e che portò all’arresto di 16 persone, infliggendo un duro colpo al clan “Toscano- Mazzaglia- Tomasello” attivo sul territorio di Biancavilla.

A darne notizia il sito “LaSicilia.it”. Tra i condannati c’è Fabio Amoroso, il figlio di Pippo “l’avvocato”, che invece ha affrontato il rito abbreviato del procedimento penale. Le condanne con l’ordinario sono state inflitte dal collegio presieduto da Grazia Anna Caserta: Fabio Amoroso condannato a 15 anni e 6 mesi; Marco Battaglia 11 anni e 50.000 euro di multa, Giovanni Carciotto 17 anni e 3 mesi, Massimo Merlo 13 anni e 3 mesi, Placido Ricceri 15 anni e 3 mesi. Carciotto è stato assolto dal reato di associazione mafiosa.

Gli imputati, si legge nel sito “LaSicilia.it”, sono stati condannati anche a risarcire il danno al comune di Biancavilla che si è costituito parte civile. Il valore del risarcimento dovrà essere calcolato dal giudice civile. Il Tribunale ha interdetto dai pubblici uffici i cinque condannati. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. Solo dopo gli avvocati difensori decideranno se ricorrere in appello.

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giudiziaria

Giarre, ergastolo per Leonardo Fresta, accusato di aver ucciso Debora Pagano

Secondo l’accusa l’uomo segnalò la morte della donna due giorni dopo il decesso, spiegando il ritardo perché era “sotto shock”. I carabinieri hanno accertato, mediante l’utilizzo del luminol, la presenza di “diffuse tracce ematiche all’interno dell’abitazione”

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Ergastolo per Leonardo Fresta il 43enne panificatore accusato di aver assassinato la convivente 32enne Debora Pagano, nel luglio del 2022 nella loro abitazione di Macchia di Giarre.

La sentenza è stata pronunciata dalla Corte d’assise di Catania nella giornata di oggi.  Secondo l’accusa, rappresentata in aula dal procuratore aggiunto Fabio Scavone e dal sostituto Fabio Platania, l’uomo segnalò la morte della donna due giorni dopo il decesso spiegando il ritardo perché era “sotto shock”.

Per la Procura le “anomalie” consistono nello “stacco temporale di oltre un giorno e mezzo tra il momento della morte e quello in cui è stato dato avviso dallo stesso Fresta al 118 pur essendosi, a suo dire, “immediatamente reso conto del decesso”.

I carabinieri, che hanno condotto le indagini sull’omicidio, hanno accertato, mediante l’utilizzo del luminol, la presenza di “diffuse tracce ematiche all’interno dell’abitazione anche in ambienti diversi dal bagno e una “generalizzata e ingiustificata, per le circostanze, opera di pulizia dei luoghi”.

La coppia aveva una bambina che all’epoca dei fatti aveva sette anni e che il giorno della morte della madre era a casa della nonna materna.

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