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Catania: Fermati con una tonnellata di agrumi in auto, denunciati due pregiudicati

È accaduto a Catania, in via Playa, durante un servizio di pattugliamento della Polizia

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Una tonnellata di agrumi stipata all’interno di un’auto ha attirato l’attenzione degli agenti della Polizia di Stato, che hanno fermato due uomini, già noti alle forze dell’ordine, per reati contro il patrimonio. È accaduto a Catania, in via Playa, durante un servizio di pattugliamento della squadra volanti della Questura.

La segnalazione di un veicolo sospetto in transito in via Fossa della Creta, diretto verso via Missori, era appena arrivata alla Sala Operativa. Gli agenti sono riusciti rapidamente a individuare l’auto indicata: il mezzo era talmente carico di agrumi da compromettere la visibilità del conducente e mettere a rischio la sicurezza stradale.

Una volta fermati, i due uomini, di 48 e 49 anni, entrambi pregiudicati, catanesi, hanno tentato di fornire spiegazioni poco convincenti sull’origine del carico. Alla fine hanno ammesso di aver raccolto le arance in alcuni terreni agricoli nei pressi di Lentini, sostenendo che l’area fosse priva di recinzioni e, a loro dire, apparentemente abbandonata.

Non essendo stato possibile stabilire con certezza la proprietà degli agrumi, la merce è stata sequestrata e, al termine dei dovuti controlli, sarà destinata ad enti benefici per la distribuzione ai bisognosi. I due uomini sono stati denunciati per furto.

Durante ulteriori verifiche, gli agenti hanno riscontrato anche diverse irregolarità amministrative a carico del conducente del veicolo, il 49enne, tra cui l’assenza dell’assicurazione obbligatoria e la revisione scaduta. Per queste violazioni, è scattata la sanzione e il sequestro del mezzo, secondo quanto stabilito dal Codice della Strada.

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Paternò, rigettati domiciliari per il sindaco Naso, la decisione del Tribunale del Riesame

La richiesta era stata avanzata dalla Procura etnea nell’ambito dell’inchiesta “Athena”, in cui il primo cittadino è indagato per voto di scambio politico-mafioso

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Niente arresti domiciliari per il sindaco di Paternò Nino Naso. Il Tribunale del riesame di Catania ha rigettato la richiesta di custodia cautelare agli arresti domiciliari chiesta dalla Procura etnea per Naso, indagato per voto di scambio politico-mafioso con il clan Morabito-Rapisarda nell’ambito dell’inchiesta ‘Athena’.

La nuova decisione arriva dopo che la Cassazione, nei mesi precedenti, aveva annullato con rinvio quella di un altro collegio del Tribunale del riesame che aveva accolto l’appello della procura di Catania e disposto i domiciliari per Nino Naso, sospendendo però il provvedimento in attesa del pronunciamento della Cassazione.  Naso, assistito dagli avvocati Maria Licata e Vincenzo Maiello, ha chiesto di essere giudicato con il processo immediato: la prima udienza si terrà a settembre. Dalle indagini della Dda etnea è scattata l’accesso ispettivo della prefettura di Catania al Comune di Paternò per verificare eventuali infiltrazioni.

L’inchiesta Athena si basa su indagini dei carabinieri della compagnia di Paternò e avrebbe fatto emergere gli interessi del clan Morabito sulle aste giudiziarie di immobili nelle province di Catania e Siracusa.

Nello scorso mese di aprile erano state depositate le motivazioni che avevano portato i giudici della Cassazione ad annullare con rinvio il provvedimento del precedente collegio del Tribunale del riesame emesso a settembre del 2024.

“La generica e indeterminata promessa da parte dell’esponente politico ‘di interessarsi’ all’assunzione di lavoratori, direttamente evocata dal Tribunale in alcuni punti dell’ordinanza impugnata, non può integrare la promessa di altra utilità” previsto nella contestazione del voto di scambio politico-mafioso”. Lo scrivevano i giudici della sesta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni con cui hanno annullato con rinvio la decisione del Tribunale del Riesame che, il 30 settembre 2024, aveva accolto l’appello della procura di Catania e disposto i domiciliari per il sindaco.  L’inchiesta si basava su indagini dei carabinieri della compagnia di Paternò, coordinate dal procuratore aggiunto di Catania, Ignazio Fonzo, e sostituti Tiziana Laudani e Alessandra Tasciotti, e avrebbe fatto emergere gli interessi del clan Morabito sulle aste giudiziarie di immobili nelle province di Catania e Siracusa e un presunto voto di scambio.

E sul “momento dell’effettiva stipulazione del patto politico elettorale e al suo contenuto”, la suprema Corte ha sottolineato come per il Tribunale etneo ‘il patto’ “non si sarebbe formalizzato in un unico momento preciso, ma dall’aprile 2021 al giugno 2022”. Sarebbero state riportate “intercettazioni ritenute indizianti”, ma senza una “compiuta definizione dell’accordo”.

Secondo la Cassazione, inoltre, il Tribunale del riesame “non ha motivato in ordine alle specifiche censure mosse dai difensori nelle memorie e non si sono confrontati con le dichiarazioni di Nino Naso nell’interrogatorio reso all’esito delle indagini preliminari”. Per la Suprema Corte “l’omessa valutazione di memorie difensive non determina la nullità, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della decisione”.

“Alla luce di questi rilievi – concludeva la Corte di Cassazione – l’ordinanza impugnata deve essere annullata e deve essere disposto il rinvio per un nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Catania che dovrà nuovamente motivare sull’appello proposto dal Pubblico ministero, uniformandosi ai principi stabiliti da questa Suprema Corte”.

AGGIORNAMENTO ORE 17 

Sul pronunciamento del Tribunale del Riesame c’è da registrare l’intervento del sindaco Nino Naso: “Apprendo con grande soddisfazione della decisione del Tribunale del Riesame di Catania, che si è uniformata alle decisioni della Suprema Corte di Cassazione, sulla insussistenza dei gravi indizi necessari per l’emissione di provvedimenti cautelari, che già il GIP di Catania aveva escluso. Sono, quindi, fiducioso di poter pienamente dimostrare, in tempi strettissimi come ho esplicitamente richiesto, la mia più assoluta e completa estraneità ai fatti che mi sono stati contestati, ribadendo piena e completa fiducia nel sistema giudiziario italiano. Confido che il Tribunale di Catania- a breve- faccia piena chiarezza perché possa emergere l’assoluta limpidezza dei miei comportamenti, sempre ed esclusivamente ispirati al raggiungimento del bene della mia amata collettività. Ringrazio i miei difensori l’avvocato Maria Donata Licata e il Professore Vincenzo Maiello, che con grande professionalità e passione, mi seguono e mi assistono” ha concluso il sindaco Naso .

 

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Catania, perizia psichiatrica per Martina Patti, la donna che uccise la figlia di 5 anni

In corso il processo d’appello nei confronti della donna. Gli esperti incaricati sono gli psichiatri Roberto Catanesi e Eugenio Aguglia

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A Catania è in corso il processo d’appello nei confronti di Martina Patti, la donna che ha ucciso la figlia Elena di appena 5 anni, con un’arma da taglio nel giugno 2022; seppellendo la bambina in un campo vicino casa, a Mascalucia e simulandone poi il rapimento.

La Corte d’appello  ha disposto una perizia psichiatrica sulla donna. Gli esperti incaricati sono lo psichiatra forense Roberto Catanesi dell’università di Bari, e lo psichiatra etneo Eugenio Aguglia. Il conferimento dell’incarico sarà formalizzato il prossimo 26 maggio. Nell’udienza odierna la donna ha spiegato che il suo malessere ha avuto inizio “dalla relazione con un suo ex, un rapporto dove ha subito anche violenze” e che dopo una delusione d’amore per un ragazzo conosciuto sui social ha compreso di essere “sprofondata in una crisi depressiva” e che avrebbe “dovuto chiedere aiuto”.

La donna ha parlato anche del rapporto con la figlia e poi della decisione di togliersi la vita assieme a Elena. I suoi difensori, gli avvocati Tommaso Tamburino e Gabriele Celesti, basandosi su una perizia di parte, hanno sempre sostenuto che Martina Patti nel momento della commissione del delitto avesse scemata l’incapacità di intendere e di volere.  Per questo hanno ribadito la richiesta di una perizia collegiale.

Il sostituto procuratore generale Agata Consoli, pur ritenendo che l’accusa sia convinta che la donna fosse cosciente del gesto che stava compiendo, ha avanzato ugualmente la richiesta di perizia collegiale per eliminare qualsiasi dubbio.

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