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giudiziaria

Catania, inflitti 27 anni all’uomo che ferì la moglie e uccise l’amica della donna

La Corte d’assise ha condannato il 53enne Piero Nasca, accusato di avere travolto volontariamente con l’auto la moglie Anna Longo, che voleva lasciarlo e l’amica di quest’ultima, Cettina De Bormida

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E’ stata condannato a 27 anni di reclusione dalla quarta sezione della Corte d’assise di Catania Piero Nasca, il 53enne accusato di avere travolto volontariamente con la propria auto, il 10 giugno del 2023, la moglie Anna Longo, di 57 anni, che voleva lasciarlo, ferendola, e un’amica della donna, Cettina ‘Cetty’ de Bormida, di 69, uccidendola.

La Procura aveva chiesto 24 anni di carcere.Il collegio, presieduto da Maria Pia Urso, ha riconosciuto l’imputato parzialmente incapace di mente. Nasca e il fondo di garanzia “Vittime delle strade” sono stati condannati, in solido, al risarcimento danni alle parti civili da stabilire in sede giudiziaria, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva di 150 mila euro al figlio della donna uccisa, Christian Tringale, e di 50mila euro alla moglie dell’imputato, Anna Longo, che ha avviato l’iter per la separazione legale dall’uomo.

La Corte d’assise ha disposto anche che Nasca, dopo avere scontato la pena, sia sottoposto alla misura di sicurezza del ricovero in una comunità terapeutica per la durata minima di tre anni. Il legale dell’imputato, l’avvocato Fabio Presenti, ha annunciato che presenterà ricorso contro la sentenza non appena saranno depositate le motivazioni.  Secondo la tesi della Procura, Nasca avrebbe “volontariamente” travolto la moglie e l’amica, e sul corpo di quest’ultima “sarebbe passato almeno due volte, fino a provocarne la morte”.

Anna Longo voleva lasciare il marito ed aveva già preso contatti con un avvocato per avviare le pratiche per la separazione e aveva chiesto di poter essere accompagnata in una clinica da un’amica per maggiore cautela e il marito era andata a prenderla. “Mi sono innervosito, quando le ho visto andare via a piedi ho accelerato e le ho investite”, ha sostenuto Nasca che dopo avere travolto le due donne si sarebbe fermato in un bar poco distante, dove avrebbe riferito ad un dipendente di aver ucciso la moglie perché non ne poteva più e di avere poi telefonato al numero unico di emergenza, confessando tutto. Nasca fu fermato da personale della squadra mobile della Questura di Catania che indagò sul caso.

 

Cronaca

Catania: Mafia e traffico di droga, sequestrati beni per oltre 300mila euro

Il provvedimento colpisce un 49enne, attualmente detenuto, ritenuto socialmente pericoloso e sospettato di appartenere a un’associazione mafiosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti e ad altre attività illecite

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Un appartamento con annesso garage, per un totale di 270 metri quadri e un valore stimato in 300mila euro, conti correnti congelati e denaro sequestrato per un ammontare di 45mila euro. È questo il bilancio dell’operazione che ha portato alla confisca di tali beni condotta dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Catania Fontanarossa.

Il provvedimento colpisce S. G., 49 anni, detto Turi u’gummista, attualmente detenuto, ritenuto socialmente pericoloso e sospettato di appartenere a un’associazione mafiosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti e ad altre attività illecite.

L’inchiesta risale al 2020 e, proseguita fino a marzo 2021, ha permesso di far emergere l’esistenza di una ramificata organizzazione criminale composta da almeno 45 persone, impegnate in furti, estorsioni e ricettazioni. Un secondo filone investigativo ha poi svelato un presunto traffico di droga attivo nel quartiere San Giorgio, con il coinvolgimento di altre 30 persone.

Il sequestro patrimoniale nasce proprio dall’analisi incrociata dei redditi dichiarati dal 49enne e dai suoi familiari tra il 2010 e il 2021, dalla quale sarebbe emersa una  una sproporzione evidente tra le risorse lecite e il valore dei beni, considerati frutto del reinvestimento di proventi illeciti.

L’operazione rappresenta l’ennesimo tassello nel contrasto alla criminalità organizzata catanese, che le forze dell’ordine e la magistratura continuano a colpire anche sul fronte economico, con l’obiettivo di prosciugare le risorse che alimentano il potere mafioso sul territorio.

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giudiziaria

Catania, inchiesta “Pandora”, condannato a 8 anni ex sindaco di Tremestieri Santi Rando

E’ accusato di scambio politico-mafioso per le amministrative 2015 e per alcuni casi di correzione, da uno dei quali è stato assolto

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E’ stato condannato a 8 anni l’ex sindaco di Tremestieri Etneo, Santi Rando. Ha retto in gran parte l’impianto accusatorio dei PM,  a conclusione della requisitoria davanti al Gup Ottavio Grasso che ha celebrato il processo, con il rito abbreviato, scaturito dall’inchiesta “Pandora” che ha preso corpo dalle indagini dei Carabinieri, coordinate dalla Procura di Catania, in merito a presunte infiltrazioni della criminalità organizzata al Comune di Tremestieri Etneo.

L’ex sindaco Rando è stato condannato a 8 anni per voto di scambio politico-mafioso per le amministrative 2015 e per alcuni casi di correzione, da uno dei quali è stato assolto.

Oltre a Rando, è stato condannato a 7 anni e 2 mesi Pietro Alfio Cosentino, accusato di concorso esterno e voto di scambio politico-mafioso. Cosentino è stato indicato dall’accusa come il collegamento tra la politica e la criminalità organizzata anche in virtù della parentela con un boss di Cosa Nostra. Analoga condanna anche per Francesco Santapaola, figlio di Salvatore “Colluccio” e cugino dello storico capomafia.

Due i carabinieri condannati a 4 anni e 4 mesi, Antonio Battiato e Antonio Cunsolo, accusati di corruzione assieme all’ex vicepresidente della Regione e deputato regionale della Lega, Luca Sammartino, che è stato rinviato a giudizio con la stessa accusa per avere chiesto ai due militari di bonificare la sua segreteria politica dalla possibile presenza di microspie.

Tra gli altri condannati Salvatore Bonanno, Domenico Cucinotta, Giuseppe Ferlito e Giovanni Naccarato. Come riporta l’Ansa, i due legali di Rando, Tamburino e Lattanzi, hanno parlato di sentenza “ingiusta” e sono pronti a ricorrere in appello “convinti in un esito diverso”.

 

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