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Catania, processo “Università Bandita” fermo per questione legittimità costituzionale

La problematica è stata sollevata dalla Procura sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, congelando cosi i termini per la prescrizione e disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale

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Il processo “Università bandita” in corso a Catania su presunti concorsi truccati nell’ateneo, al momento “segna il passo”.  La seconda sezione penale del Tribunale esprimendosi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Procura sull’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale, vale a dire il reato di abuso d’ufficio, ha “congelato” i termini per la prescrizione e disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per tutti gli imputati e per tutti i capi di imputazione perché tra loro potenzialmente interconnessi. A processo ci sono 51 imputati per cui la Procura ha chiesto 39 condanne e 12 assoluzioni.

Decine i capi d’imputazione che riguardano, a vario titolo, corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. L’inchiesta da cui è scaturito il processo è quella condotta dalla Digos della Questura e coordinata dalla Procura etnea. Quando scattò, nel 2019, portò alle dimissioni dell’allora rettore Francesco Basile e la programmazione di nuove elezioni universitarie. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni sarebbero stati predisposti a tavolino una serie di bandi e di assegnazioni di cattedre. E in questa indagine sono finiti anche l’ex rettore Giacomo Pignataro e diversi ex direttori di dipartimento.

 

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Morte Stancampiano, giudizio immediato per il proprietario di casa che lo uccise durante furto

Secondo la Squadra Mobile, Stancampiano e un complice avrebbero tentato un furto nell’abitazione dell’imputato, il quale, rientrando a casa li ha sorpresi e durante una colluttazione con un coltello li avrebbe colpiti

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foto Ansa

A Reggio Calabria inizierà il 27 dicembre il processo per Francesco Putortì, il macellaio di 48 anni accusato di aver ucciso Alfio Stancampiano, di 30 anni originario di Catania, che il 28 maggio era entrato all’interno della sua abitazione in contrada Oliveto di Rosario Valanidi, e di avere ferito Giovanni Bruno, di 46 anni anche lui catanese. Come richiesto dal pubblico ministero che ha coordinato le indagini, Nunzio De Salvo, nei confronti di Putortì, difeso dagli avvocati Giulia Dieni e Natale Polimeni, è stato disposto il giudizio immediato.

Dopo un periodo di detenzione in carcere, l’imputato è adesso sottoposto agli arresti domiciliari ed è accusato di omicidio volontario e tentato omicidio.   Stando alle indagini della Squadra Mobile, Stancampiano e Bruno avrebbero tentato un furto nell’abitazione di Putortì, il quale, rientrando a casa, li ha sorpresi al piano superiore dello stabile. A quel punto, il macellaio, secondo il suo racconto, ha preso un coltello e durante una colluttazione ha colpito i due ladri che poi sono fuggiti facendo cadere le pistole che avevano appena rubato e che erano legalmente detenute da Putortì.

Una ricostruzione che non ha convinto gli inquirenti, secondo i quali, invece, l’uomo avrebbe accoltellato i due alle spalle mentre scappavano.  Il primo accoltellato, Alfio Stancampiano, è stato abbandonato dai complici nei giardini dell’ospedale reggino “Morelli”, dove poi è morto, mentre il secondo, Giovanni Bruno, dopo aver traghettato per la Sicilia, è stato costretto perché ferito a recarsi all’ospedale di Messina. Non è escluso che quest’ultimo e i familiari del deceduto decidano di costituirsi parte civile nel processo a carico del macellaio reggino.

 

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Catania, 32enne morta dopo aborto, in Appello assolti 4 medici del Cannizzaro

In primo grado i quattro professionisti erano stati condannati per omicidio colposo a sei mesi di reclusione, pena sospesa, e al pagamento di una provvisionale da 30mila euro alla sorella della vittima

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I giudici della Corte d’Appello di Catania hanno assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”, i quattro medici del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Cannizzaro a processo per la morte di Valentina Milluzzo, la 32enne alla 19/ma settimana di gravidanza deceduta il 16 ottobre 2016 dopo avere perso, con altrettanti aborti, i due gemelli che aspettava in seguito a una fecondazione assistita.

In primo grado, il 27 ottobre del 2022, i quattro professionisti erano stati condannati per omicidio colposo a sei mesi di reclusione, pena sospesa, e al pagamento di una provvisionale da 30mila euro alla sorella della vittima, Angela Maria Milluzzo, che si era costituita parte civile assistita dall’avvocato Salvatore Catania Milluzzo.

La Procura generale aveva chiesto la conferma della sentenza emessa dalla terza sezione del Tribunale penale monocratico di Catania. I medici assolti sono lvana Campione, Giuseppe Maria Alberto Calvo, Alessandra Coffaro e Vincenzo Filippello, “in servizio nel reparto e in sala parto, avvicendatisi nei turni di guardia” tra il 15 e il 16 ottobre del 2016. Il legale di parte civile, l’avvocato Salvatore Catania Milluzzo, parla di “sentenza sorprendente” e di “attendere il deposito delle motivazioni”.

La Procura di Catania ha contestato ai medici la “colpa professionale”, per “imprudenza, negligenza e imperizia”, che avrebbe “determinato il trasmodare della sepsi in shock settico irreversibile” che avrebbe causato il decesso della paziente. Del caso si occupò anche il ministero della Salute che inviò degli ispettori all’ospedale Cannizzaro. Il legale della famiglia Milluzzo sta valutando l’ipotesi di ricorrere in Cassazione.

 

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