Sgominata a Catania una piazza di spaccio a gestione familiare. Il tutto è stato scoperto dai carabinieri della compagnia di Piazza Dante con l’operazione “Villascabrosa”. Undici persone sono finite in carcere mentre per tre è stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari. Una piazza di spaccio di cocaina e marijuana nel quartiere San Cristoforo che avrebbe prodotto un volume d’affari superiore ai 4 mila euro al giorno, incassati mediamente attraverso 200 cessioni nell’arco delle 24 ore. In alcuni casi le dosi sarebbero state consegnate anche alla presenza di bambini tenuti dagli indagati in braccio o per mano.
Le persone sono indagate, con differenti profili di responsabilità, per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e per acquisto, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. I provvedimenti cautelari, richiesti dalla Dda etnea, erano stati in prima battuta rigettati dal Gip Tribunale etneo. La pronuncia è stata poi appellata dalla procura al Riesame di Catania, che ha emesso le ordinanze applicative delle misure di custodia cautelare in carcere. Le misure sono state eseguite a seguito delle pronunce della Corte di Cassazione, che ha respinto i relativi ricorsi nel frattempo proposti.
L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dal Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Catania Piazza Dante dal novembre 2021 al settembre 2022, si sarebbe sviluppata attraverso una attività di osservazione a distanza con l’ausilio di telecamere, nonche attraverso una parallela attività tecnica di intercettazione e numerosi riscontri oggettivi, quali arresti in flagranza di reato, controllo degli acquirenti, sequestri di droga, di denaro e di armi. Queste attività avrebbero permesso di ricostruire il modus operandi della piazza di spaccio e l’organigramma del sodalizio criminale.
A capo vi sarebbero stati i pluripregiudicati Emanuele Napoli e Alessandro Carambia. L’organizzazione avrebbe visto coinvolti anche familiari di Napoli. Tra gli arrestati la madre di Napoli, una donna di 75 anni che avrebbe custodito la droga in casa per conto del figlio e avrebbe provveduto a rifornirlo su sua richiesta; anche la moglie di Napoli che si sarebbe occupata di indirizzare gli acquirenti e avrebbe gestito parte della contabilità. Le vedette, oltre a fungere da presidio d’allarme nel caso di intervento delle Forze dell’Ordine e di accompagnamento degli avventori nei luoghi preposti alla vendita, avrebbero effettuato le cessioni utilizzando metodi ingegnosi, quali l’utilizzo di nascondigli di immediata reperibilità, adottando la tecnica del “lancio” delle dosi dai balconi delle palazzine di via Villascabrosa o prendendo lo stupefacente da cesti calati di volta in volta dai piani elevati delle abitazioni, da cui gli spacciatori su strada si sarebbero riforniti.
Il gruppo si sarebbe avvalso, inoltre, di un linguaggio criptico per parlare dello stupefacente, chiamato “caffè” o “cialda piccola/grande”. Il termine “orologio” sarebbe stato invece riferito alle bilance di precisione utilizzate per pesare con cura le sostanze stupefacenti. Al riguardo, infatti, sono numerosissime le conversazioni intercettate in cui i sodali si sarebbero rivolti alla 75enne per richiederle “un caffè” oppure “una cialda”. Per il rifornimento di marijuana, la richiesta sarebbe stata spesso avanzata telefonicamente anche attraverso la tecnica degli “squilli telefonici senza risposta”. Le cessioni di marijuana sarebbero avvenute principalmente sulla strada, mentre quelle di cocaina all’interno dell’abitazione di Emanuele Napoli o nell’abitazione della madre. Molte cessioni sarebbero state effettuate anche mediante consegna dello stupefacente in luoghi preventivamente concordati con l’acquirente tramite messaggistica e social network.