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Cultura

Gravina di Catania, inaugurato “Spazio Le Bon”

Sarà luogo di riferimento per la cultura a 360 gradi

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Quando nasce uno spazio culturale è sempre un evento che arricchisce l’intera umanità. Ed è stato inaugurato nei giorni scorsi a Gravina di Catania lo “Spazio Le Bon”, luogo che sarà riferimento per la cultura a 360 gradi: presentazione di libri, teatro, rappresentazioni di reading musicali, riunioni, incontri. Un nome che deriva dal compianto Argeo Carmelo Longhitano, cabarettista e monologhista il cui nome d’arte era “Argy Le Bon”.

La moglie, la cantante ed interprete sarda, Giusy Pischedda, vincitrice, tra l’altro del “Premio Mia Martini”, ha lavorato sodo per realizzare il sogno del consorte inventando uno spazio elegante, accogliente, caloroso e di grande atmosfera. L’inaugurazione è stata patrocinata dall’Associazione Catania più Attiva di cui fa parte la stessa Giusy Pischedda.
Un emozionato Arcangelo Signorello, poeta, scrittore e giornalista disabile, così come lo stesso Argeo Longhitano, ha tagliato il nastro rosso intenso, tra gli applausi degli intervenuti. La padrona di casa, Giusy Pischedda, ringraziando per le presenze, ha interpretato brani del panorama musicale italiano ed una chicca in lingua sarda: “No pueto reposare” dell’indimenticato leader de “I Tazenda”, Andrea Parodi. Ed ancora da Biagio Antonacci a Ornella Vanoni, dalla grande Mia Martini al commovente ricordo di Toto Cutugno con la sua “Le mamme”.
Intenso il momento in cui l’artista Giusy Pischedda ha omaggiato il padrino della serata, Arcangelo Signorello con una sorpresa: ha accennato la canzone “Bastava una bombetta”, nata dalla poesia scritta da Arcangelo per ricordare il marito Argeo, artista che sul palcoscenico indossava sempre i cappelli. La bellissima atmosfera ha inebriato il piccolo salone e riscaldato i cuori di tutti gli attenti spettatori.
Un altro intensissimo momento è stato quello della lettura di alcune poesie di Arcangelo Signorello: l’autrice e drammaturga catanese Antonella Sturiale ha interpretato i versi interrompendosi più volte con la voce rotta dalla commozione e trasmettendo agli altri quel suo stesso slancio emotivo.
Il presidente dell’Associazione Catania più Attiva, Santo Musumeci ha sottolineato le problematiche che quotidianamente devono affrontare i disabili in una città che presta loro poca attenzione: le barriere architettoniche e le ZTL per esempio. Nella sua presentazione, lo stesso Arcangelo Signorello ha parlato della legge 112\2016, varata dal Parlamento dichiarando: “La legge 112 è ignorata malgrado la sua emanazione; in Italia non viene applicata pienamente, oppure viene addirittura utilizzata per speculare sulle altrui sofferenze. Ciò comporta che noi soggetti interessati non abbiamo possibilità di avere un futuro sostenibile che sia indipendente dalla famiglia, ammesso che la si abbia, e nello stesso tempo di alleggerire il nucleo familiare della preoccupazione di un domani per noi figli con handicap. Lancio proprio qui un appello, chissà se stasera accadrà una magia”.
L’Associazione più Attiva ha accolto l’accorato appello impegnandosi a far applicare la legge 112\2016 e i suoi punti perché i diritti non sono privilegi.

 

Cultura

Paternò, l’Archeoclub avvia un nuovo progetto di scavi e valorizzazione

Un’opportunità di riscoperta storica e culturale per il futuro della città

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Paternò è pronta a riscrivere la sua storia grazie a un importante investimento destinato agli scavi archeologici sulla Collina Storica. Un progetto che non solo mira a valorizzare il passato della città, ma che getta le basi per un futuro di sviluppo culturale e turistico, facendo emergere un ricco patrimonio finora trascurato.

L’Archeoclub di Paternò, con la sua perseveranza e il suo impegno costante, ha avuto un ruolo cruciale nel sensibilizzare le istituzioni e nel promuovere l’iniziativa che ha finalmente trovato concreta realizzazione.

Già indagando sulle origini del toponimo “Paternò”, si evince la complessità della sua storia antica e le forze centrifughe in essa coesistenti: il nome “Paternò”, utilizzato da tempi immemori, ha radici nel periodo bizantino e deriva dal termine Paternón, riferito alla figura della Venere vergine o alla dea della fertilità. Sebbene la città fosse originariamente conosciuta come Hybla Major, ragioni politiche e religiose portarono alla scelta del nuovo toponimo, segnando una nuova fase nella storia della città. Questo cambiamento, che riflette l’evoluzione del contesto storico e sociale, ha segnato una discontinuità con la memoria antica del luogo, oggi recuperabile grazie alla perseveranza dell’Archeoclub e al subentrato sostegno della Regione Siciliana.

Il finanziamento stanziato consentirà di avviare scavi archeologici mirati a esplorare l’antico sito dell’acropoli di Hybla Major, oggi conosciuto come “Collina Storica di Paternò”. Qui sono stati già rinvenuti reperti risalenti a diverse epoche storiche, da quella greco-romana a quella medievale. Il Cippo di Venere, conservato al Museo di Catania; la Venere di Perri; gli argenti di Paternò, esposti al Pergamonmuseum di Berlino: sono tutti indizi che confermano che la collina è stata testimone di una storia millenaria. E quelli citati rappresentano soltanto una piccola parte dei tesori che potrebbero tornare nella loro città natale, in un futuro museo archeologico.

Molti sono gli indizi che hanno evidenziato la presenza di un sito archeologico a cielo aperto in corrispondenza della Chiesa di Santa Maria dell’Alto: gli interventi strutturali effettuati nel corso della sua storia presentano aspetti particolarmente intriganti perché legati a ragioni che non sembrano riconducibili esclusivamente a esigenze geomorfologiche o tecniche dell’area, e che quindi rappresentano un campo di indagine ancora aperto.

Con l’investimento di 100.000 euro, ottenuto dall’Archeoclub, Paternò sarà oggetto di studi e ricerche che porteranno alla luce un quadro più completo del suo passato, senza dimenticare che il progetto ha anche una rilevanza sociale, oltre che culturale: la valorizzazione del milieu territoriale creerà nuove opportunità per i giovani e le imprese locali, stimolando la nascita di nuove attività nel settore turistico, culturale e artigianale, e generando un indotto economico significativo.

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Cultura

Io, Berlinguer e quell’incontro che mi cambiò la vita

Il ricordo di Arcangelo Gabriele Signorello sull’incontro con il leader del PCI avvenuto a Catania poco prima della sua morte

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Sono consapevole che la storia che vi sto per raccontare è molto datata rispetto alla mia età odierna, quindi potrei dire di non ricordare o di non aver saputo apprezzare i fatti perché ero un fanciullo che ovviamente giocava come tutti i ragazzini. Invece, vi garantisco che io ero perfettamente consapevole di tale vicenda, che ho vissuto con molto interesse e trasporto emozionale, complice anche la passione che mi trasmetteva mio padre. Parlare di un personaggio del calibro di Enrico Berlinguer mi spinge a ricordare una politica fatta di autentici principi e ben dettagliata nella diversità fra le due parti, destra e sinistra, nonché precisa negli obiettivi che si proponeva.

Enrico Berlinguer io l’ho conosciuto in Piazza Università a Catania qualche tempo prima della sua scomparsa, avvenuta il 7 giugno 1984 per i postumi di un malore che lo colse sul palco mentre teneva un comizio nella città di Padova. Ricordo, e con orgoglio, che eravamo un tappeto di bandiere rosse e soprattutto e che si respirava un’aria di unità intorno a quest’uomo dalla voce decisa e molto gentile verso tutti, specialmente di fronte agli avversari.
Brevemente ricordo che il segretario Berlinguer fu l’artefice dell’accordo fra lui, segretario del Partito Comunista Italiano, e Aldo Moro, segretario della Democrazia Cristiana, passato alla storia come “compromesso storico”. Fra l’altro, Berlinguer e Giorgio Almirante, segretario del Movimento Nazionale Italiano Destra Nazionale, dialogavano sempre: erano rivali, ma profondamente rispettosi l’uno dell’altro, saldamente fedeli al loro credo politico, che ognuno professava con vigore. Un esempio su tutti: quando venne a mancare Enrico Berlinguer, Almirante disse: “Voglio salutare il mio amico”, come se avessero ideali uguali, invece i due avevano pensieri opposti.

Torniamo a Berlinguer. Da molto tempo, ancor prima del comizio di Catania, seguivo in televisione e in radio i suoi discorsi, le tribune elettorali nelle quali dibatteva questo grande uomo. Le sue parole mi erano sempre più entrate nel cuore perché per me la bandiera rossa racchiusa dentro alla falce e al martello rappresentava, e rappresenta ancora oggi, il simbolo essenziale per l’evoluzione di un popolo civile. Amo parecchio la falce e il martello in quanto mi riconducono all’ideale del lavoro, senza il quale l’essere umano non può considerarsi libero e capace di poter progettare un futuro che sia equilibrato con la propria esigenza economica.

Tutto questo lo respiravo in un contesto in cui si parlava del Partito Comunista Italiano: in famiglia, tra amici e soprattutto in sezione, luogo dove mio padre mi portava spesso nei suoi pochissimi scampoli di tempo libero e io lo seguivo ben volentieri perché per me diventava come un gioco, un gioco però che era molto istruttivo in quanto mi dava la possibilità di arricchire la mia mente non solo con le macchinine o con i robot, ma anche con le cose concrete che poi ho ritrovato in età giovanile e che custodisco anche adesso che sono un adulto.

Ho imparato, ad esempio, l’importanza di andare a votare in modo consapevole e scevro dalle influenze altrui, ovvero convinto di quella “X” che pongo sulla scheda elettorale. Tutto questo sono riuscito a capirlo frequentando la sezione del Partito Comunista Italiano e avendo presente il mio modello di ispirazione, Enrico Berlinguer. In quella sezione del mio paese ho poi assistito in diretta televisiva ai funerali, da Piazza San Giovanni a Roma, del mio caro compagno Enrico Berlinguer.

Quel giorno il quotidiano l’Unità titolò “Addio” mentre la bandiera rossa venne esposta a mezz’asta in sezione. Capii che una bella stagione era definitivamente giunta al termine e capii anche, anzi ebbi la conferma, che il nostro Partito Comunista Italiano era finito. Per me era sempre stata una baggianata la descrizione di un PCI a favore di guerre e dittature e la conferma era data da quanto inquadravano le telecamere nel corso dei funerali: insieme alle bandiere rosse c’erano tante bandiere della pace che testimoniavano l’impegno del partito di Berlinguer a favore del disarmo come le tante manifestazioni a Comiso contro gli euromissili nucleari. È proprio questo a fare la differenza tra quelli che eravamo e restiamo comunisti e quelli che, poi, hanno cercato di dare un prosieguo politico ai vari pezzi del PCI, alcuni cancellando falce e martello e la bandiera rossa.

La cosa certa è che oggi, esattamente quarant’anni dopo, non c’è nessuno all’altezza di un politico come Enrico Berlinguer, come Giorgio Almirante o come Giorgio La Malfa, segretario del Partito Repubblicano Italiano, politici che “indossavano” la propria appartenenza a un partito e ai suoi elettori ponendoci al centro della questione civile e sociale del nostro Belpaese. Io sono comunista e lo sono in quasi tutte le mie azioni in un Paese che, a quarant’anni di distanza da quel 1984 così cruciale per la politica italiana, sembra aver perso la sua passione per gli ideali.

 

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