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Cultura

Intervista (immaginaria) a Mario Rapisardi: “La Poesia è spezzare le catene della realtà”

“La poesia è ‘Arte’! L’arte del pensiero fulmineo e folgorante. I versi sono irripetibili, unici frutti di un momento di delirio dell’anima”

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Abbiamo la grande occasione di parlare (nella nostra immaginazione) con il poeta catanese e insegnante dell’Ottocento Mario Rapisardi. Un poeta vero che è stato il più produttivo durante la sua carriera artistica. Un poeta ai margini della società civile per quello che tramite i versi dichiarava per questo è definito “Il Vate etneo”.

D. Rapisardi, cosa significa fare poesia per lei?
R. Per me fare poesia è libertà, è sentirsi al di sopra delle parti e delle situazioni. Poesia è volo pindarico, espiazione delle colpe, spezzare le catene della cruda realtà in cui siamo costretti a vivere.

D. Cosa pensa quando si trova a passare da una strada a lei dedicata?
R. Non mi gratifica affatto!  Una strada intitolata non è sinonimo di ricordo e di rispetto. Preferirei non avere strade intitolate ma pensieri lasciati ai posteri come monito dell’esistenza.

D. Cosa suggerisce agli educatori per ricordare ai ragazzi la storia catanese d’un tempo, da Vincenzo Bellini a Nino Martoglio sino al poeta della vergogna, Domenico Tempio?
R. Suggerisco di entrare in empatia con loro. Suggerisco la verità al di sopra di tutto, che non è soltanto quella storica ma soprattutto quella etica e morale. Suggerisco l’emulazione delle grandi menti come atto dovuto all’indipendenza personale. Lo studio è disciplina e disciplina è cultura. Il mio suggerimento accorato è di non smettere mai di perseguire la conoscenza.
Ogni autore ha qualcosa da dare: s’impara da tutti a prescindere dalle etichette date e tolte, anche se si viene considerati scurrili o troppo diretti come me.

D. Secondo Mario Rapisardi, qual è una ricetta, magari non molto dispendiosa, per portare la città etnea all’antico splendore?
R. La cosa principale che serve è la verità, poi l’onestà. La gloria personale serve solo a produrre servi impreparati.

D. Mario Rapisardi, secondo lei oggi nell’attualità si riesce a fare della poesia una autentica arte? E, ancora, le chiedo, la poesia può aiutarci a capire meglio la storia umana e, se sì, la può cambiare?
D. La poesia è “Arte”! L’arte del pensiero fulmineo e folgorante. I versi sono irripetibili, unici frutti di un momento di delirio dell’anima. Nessuno li può interpretare estrapolati da quell’attimo di estasi, neppure il poeta stesso. Vana è la ricerca di interpretazione postuma: la poesia è alchimia, esoterismo, magia. Ed è per questo che potrebbe avere benissimo uno scopo sociale: quella di mitigare il pensiero negativo, per esempio. Nutrire la nuova generazione di poesia significherebbe condurre i pensieri verso una strada morbida ed amena. Con molta probabilità si supererebbe la spigolosità di cuori avvezzi al giudizio e alla cattiveria. La poesia potrebbe diventare un cerotto curativo per materialismo ed orgoglio spropositato.

D. Il regime di allora italiano, vietava di comporre liriche nei nostri dialetti. Adesso che è trascorso tanto tempo, cosa avrebbe da dire su tale atto di censura?
R. Che è un crimine! Il dialetto è la radice, è l’idioma che ci appartiene dalla nascita. È il nostro marchio che ci fa riconoscere e che riconosciamo. È chiaro che, però, per essere capiti dai più, conoscere la lingua nazionale è fondamentale.

D. Ipotizziamo che l’elefante di Piazza Duomo a Catania potesse parlare ai cittadini. Secondo lei cosa direbbe loro?
R. “Imparate ad essere civili”!

D. Giuseppe Garibaldi è stato un suo estimatore tanto da mantenere un rapporto saldo epistolare. Cosa ha colpito il generale Garibaldi della sua lirica?
R. La spietatezza della mia sincerità. L’ha colpito il mio modo di essere vero in un mondo di “incensatori patentati” schiavi del potere dominante che non è solo lo Stato finto laico, ma una chiesa finta religiosa. Il vero “Lucifero” della società.

D. Lei è una persona e soprattutto è un Poeta che viene definito scomodo assieme a Nino Martoglio e a poche altre importanti personalità. Scomodo a tal punto da rifiutare una poltrona di potere. Scomodo anche in certe affermazioni coraggiose e libere come per esempio “flagellare e punire i malvagi”. Ci vuol dire essere libero con il pensiero cosa comporta?
R. In una parola comporta l’oblio.  L’essere dimenticati e, talora qualcuno osasse ricordare, verrebbe additato come fanatico di un pazzo visionario.

D. Oltre ad essere poeta, è stato professore universitario, rapportato alla società odierna che significa insegnare?
R. Significa creare menti pensanti: insegnare non significa impartire lezioni a memoria di una memoria storica discutibile, ma insegnare a pensare liberamente in modo libero ed intellettualmente logico. Significa produrre persone riflessive e cervelli non manipolabili.

 

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Belpasso, “Giornata mondiale del rifugiato, il comune aderisce all’iniziativa

Inaugurata per tale circostanza una panchina dedicata ai rifugiati che si trova nel parco comunale antistante il Palazzo di città.

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Anche Belpasso ha celebrato ieri la “Giornata mondiale del Rifugiato”. Una data istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “proprio per farci riflettere sui principi fondamentali che tutelano chi è costretto a fuggire dalla propria terra in cerca di un futuro migliore” dicono dal comune. Per tale ragione la città di Belpasso si è unita alla giornata mondiale de rifugiato nel nome dell’inclusione e della speranza inaugurando una panchina dedicata ai rifugiati che si trova nel parco comunale antistante il Palazzo di città.

“Non è una panchina qualunque, ma un vero simbolo di speranza e accoglienza che ci ricorda la necessità che ogni “straniero” si senta parte di questo paese, che si senta a casa nel territorio che lo sta ospitando- hanno specificato dall’ente comunale-  E’ un invito a non sottovalutare mai l’opportunità legittima che tutti possono rinascere e costruire una nuova vita, anche lontano dalla propria terra e dalle guerre.

Ringraziamo la Cooperativa Iride per la sensibilità di questa iniziativa” Presenti all’iniziativa gli assessori Tony Di Mauro e Maria Grazia Motta

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Cultura

Catania, il murale “Déjà-vu” di Ligama sulla circonvallazione della città

“Ho voluto rappresentare – ha spiegato l’artista – un’immagine familiare e allo stesso tempo destabilizzante: un ‘déjà-vu’. Un incontro con sé stessi, un gesto di cura in mezzo al caos urbano”

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È il verde, simbolo di natura, cura e rigenerazione, a dominare il nuovo eco-murales realizzato alla circonvallazione di Catania dall’artista Ligama.

L’opera, donata da Covei, storica concessionaria Volvo, in occasione dei quarant’anni di attività dell’azienda, è stata ufficialmente consegnata nella giornata di ieri alla città dall’Amministratore Delegato di Covei, Salvatore Gangi, alla presenza dell’Assessore alle Politiche Comunitarie Sergio Parisi e del docente dell’Accademia di Belle arti di Catania Salvatore Lo Giudice.

“Déjà-vu” si estende su una superficie di 150 metri quadri, dipinta su una parete ad alto scorrimento. L’opera è stata realizzata utilizzando colori al quarzo base acqua e innovativi colori fotocatalitici Airlite, rispettando i principi dell’economia circolare in tutte le fasi del suo ciclo di vita. Un progetto che unisce arte e sostenibilità, trasformando un angolo urbano, ad alto traffico, in uno spazio di riflessione e bellezza condivisa.

Il murales di Ligama per Covei è nato come un cantiere a cielo aperto, accessibile e visibile alla cittadinanza fin dal primo giorno. Una partecipazione condivisa anche dall’Assessore all’Ambiente, Ecologia e Verde Pubblico, Massimo Pesce, che nei giorni scorsi ha voluto essere presente di persona al cantiere.

Studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Catania, guidate dai docenti Daniela Costa, Salvatore Lo Giudice e Giuseppe Puglisi, hanno affiancato Ligama nella realizzazione, partecipando attivamente a ogni fase. Al centro del murales, due figure femminili si osservano in silenzio, immerse in una rigogliosa vegetazione e illuminate dalla calda luce del tramonto. Una porge all’altra dei garofani bianchi e rosa: un gesto semplice ma intenso, che evoca gentilezza, cura, dialogo e riconoscimento reciproco.

La figura dai capelli dorati e carnagione chiara richiama Sant’Agata, patrona della città, simbolo di forza e devozione. Il titolo “Déjà-vu” evoca la sensazione di aver già vissuto quella scena, un riconoscimento imperfetto che richiama la natura ripetitiva e automatica della vita contemporanea. In questo contesto frenetico, l’opera si impone silenziosa e decisa tra il traffico, catturando per un attimo l’attenzione di chi passa e stimolando una riflessione profonda.

“Ho voluto rappresentare – ha spiegato Ligama – un’immagine familiare e allo stesso tempo destabilizzante: un ‘déjà-vu’. Un incontro con sé stessi, un gesto di cura in mezzo al caos urbano. L’opera invita alla consapevolezza, a rallentare e guardare davvero. Mi sono ispirato alla suggestione pittorica de ‘La riproduzione vietata’ di Magritte, per la sua forza visiva e concettuale”.

 

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