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Cronaca

Paternò, le rivelazioni del nuovo pentito: «Legami tra il sindaco Naso e clan Morabito»

Il nuovo collaboratore di giustizia è Sebastiano Di Mauro: “So dell’esistenza di rapporti tra il sindaco Nino Naso e componenti della famiglia Morabito”. Naso: “Non sono turbato”

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Una testimonianza esplosiva rischia di avere ripercussioni pesanti sulla vita politica di Paternò. Il collaboratore di giustizia Sebastiano Di Mauro, recentemente entrato nel programma di protezione, ha rilasciato dichiarazioni che puntano dritto al cuore dell’amministrazione comunale.

“So dell’esistenza di rapporti tra il sindaco Nino Naso e componenti della famiglia Morabito”, ha affermato Di Mauro, riferendosi al presunto sostegno ricevuto durante la campagna elettorale da parte di esponenti legati alla criminalità organizzata. Le sue parole sono finite nei verbali depositati nell’ambito del processo con rito abbreviato scaturito dall’operazione “Athena”, che ha messo sotto la lente la presunta infiltrazione mafiosa nella politica locale.

Sebbene non fosse un esponente diretto di un clan mafioso, Di Mauro – conosciuto con il soprannome di “Ianu u’Pazzu” – operava in un gruppo dedito allo spaccio di stupefacenti, attivo per conto della famiglia Stimoli. Fu arrestato nel 2021 nel corso di un’operazione dei Carabinieri che portò a un maxi blitz e al fermo di 40 persone. A capo del gruppo, secondo gli inquirenti, vi sarebbe stato Santo Alleruzzo, ergastolano già condannato per duplice omicidio, associazione mafiosa e traffico di droga, detenuto nel carcere di Rossano.

Gli investigatori sostengono che Alleruzzo, approfittando dei permessi premio, tornasse periodicamente a Paternò per partecipare a summit mafiosi e impartire ordini. Le accuse contestate agli indagati a vario titolo spaziano dall’associazione mafiosa al traffico di droga, passando per estorsioni e una rete di truffe e falsi ai danni dell’INPS.

Di Mauro, con un colpo di scena inaspettato poco prima della sentenza, ha scelto di collaborare con la giustizia. La notizia della sua decisione è emersa solo di recente e le sue prime dichiarazioni hanno già avuto un forte impatto sul dibattito politico locale.

La posizione del sindaco Naso, accusato di voto di scambio politico-mafioso, è da tempo al vaglio della magistratura. Finora ha evitato misure cautelari, con una lunga vicenda giudiziaria che ha visto alternarsi richieste di arresto, rigetti, accoglimenti e infine un annullamento da parte della Cassazione. Naso, che ha sempre respinto ogni accusa, comparirà a settembre in un processo con rito immediato, richiesto volontariamente. Intanto prosegue il lavoro degli ispettori inviati dalla Prefettura per valutare l’eventuale condizionamento mafioso all’interno del Comune. Le nuove rivelazioni del collaboratore di giustizia potrebbero incidere in modo significativo su un quadro investigativo già complesso.

Le dichiarazioni del primo cittadino Nino Naso:

“In relazione alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Di Mauro di cui ho appreso il contenuto tramite i miei difensori, mi riporto a quanto già dai medesimi dichiarato: non siamo preoccupati, ci confronteremo con esse nel processo. Non sono turbato, sono sereno, dai contenuti si evidenziano dichiarazioni confuse, incerte e palesemente infondate. Ho piena fiducia nella magistratura e confido che presto questa vicenda possa chiarirsi una volta per tutte.”

 

Cronaca

Paternò, carabinieri e controlli: arresto in flagranza e una denuncia per evasione

Il primo controllo in via Bari dove un 36enne ai domiciliari non è stato trovato in casa ed è stato arrestato, l’altro in via G.B. Nicolosi dove un 22enne, sempre ai domiciliari, era all’esterno dell’appartamento intento a parlare al telefono; quest’ultimo è stato denunciato

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A Paternò i carabinieri della locale compagnia hanno eseguito, in due  distinti interventi,  all’arresto di un uomo e alla denuncia di un giovane, entrambi per evasione.

In particolare, i soggetti sono stati individuati durante uno dei numerosi servizi mirati volti a verificare il rispetto delle misure cautelari imposte dall’Autorità Giudiziaria e a contrastare ogni forma di illegalità.  Nel primo caso, la pattuglia è intervenuta, verso le  ore 18,  nei pressi di via Bari, dove risiede un uomo di 36 anni, già sottoposto alla misura della detenzione domiciliare.

Quando i carabinieri sono entrati in casa, però, lui era assente e a nulla sono valsi i tentativi dei parenti di celare la sua assenza, perché o militari hanno fatto subito scattare le ricerche, avvertendo la Centrale Operativa. Gli equipaggi della radiomobile lo hanno scovato, poco dopo, in una via adiacente la sua abitazione, arrestandolo e mettendolo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria che, convalidato l’arresto, lo ha sottoposto nuovamente alla misura cautelare degli arresti domiciliari.

Il secondo intervento ha, invece, riguardato un giovane di 22 anni residente nei pressi di via Gian Battista Nicolosi, sottoposto agli arresti domiciliari. In questo caso, i carabinieri che stavano accertando se fosse regolarmente in casa, lo hanno scorto all’esterno dell’appartamento, intento a parlare al telefono e, addirittura, con in mano uno spinello, ovvero una sigaretta contente marijuana.

Privo di autorizzazione e senza fornire spiegazioni plausibili, il ragazzo è stato condotto in caserma e denunciato per il reato di evasione. Successivamente è stato ricondotto presso la sua abitazione, dove continuerà a scontare la misura cautelare.

 

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Cronaca

Catania, operazione antimafia “Lumia”, 8 arresti ad opera della Finanza

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso nonché delle condotte di estorsione, ricettazione, detenzione di armi, trasferimento fraudolento di valori, e spaccio di sostanze stupefacenti tutte aggravate dal metodo mafioso.

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E’ scattata all’alba di oggi, nelle province di Catania e Pavia, l’operazione antimafia “Lumia” condotta dalla Guardia di Finanza del capoluogo etneo.  Oltre 80 finanzieri hanno eseguito un’ordinanza, concernente complessivamente 20 indagati (per otto dei quali è scattato l’arresto), emessa dal G.I.P. su richiesta della Procura etnea. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso nonché delle condotte di estorsione, ricettazione, detenzione di armi, trasferimento fraudolento di valori, e spaccio di sostanze stupefacenti tutte aggravate dal metodo mafioso.

Finanzieri che hanno eseguito il sequestro preventivo di due imprese, una Srl e una ditta individuale, di Aci Sant’Antonio per un valore complessivo di 1 milione di euro e contestualmente sono stati notificati, nelle province di Catania, Messina, Monza, Pavia, Prato e Reggio Calabria, gli avvisi di conclusione delle indagini a tutti i soggetti coinvolti.

I dettagli dell’operazione sono stati illustrati questa mattina nel corso di una conferenza stampa alla quale erano presenti Il procuratore capo di Catania Francesco Curcio, i sostituti Fabio Saponara e Tiziana Laudani e i vertici provinciale della Guardia di Finanza il Generale di Brigata Antonino Raimondo e il colonnello Diego Serra, comandante del nucleo Pef della Guardia di Finanza di Catania.

Al centro delle indagini “la permanente operatività del gruppo criminale appartenente al clan Laudani – dicono dalla Procura- attivo nella provincia di Catania e, in particolare, nei territori di Acireale, Aci Sant’Antonio, Aci Catena e zone limitrofe”. Attività investigata partita da una segnalazione anonima e non dalla denuncia degli imprenditori vittime della mafia.

Dall’inchiesta sarebbe emerso il condizionamento illecito del mercato degli agrumi – soprattutto dei limoni – e dei relativi trasporti, da parte della cosca legata a Orazio Salvatore Scuto che, nonostante fosse detenuto, si sarebbe “avvalso di un gruppo di uomini di fiducia- dicono dalla Procura – per monopolizzare la filiera del mercato agrumicolo dei territori dei paesi pedemontani e avrebbe dato ordini dal carcere utilizzando schede telefoniche fittiziamente intestate a extracomunitari e introdotte illegalmente in carcere con un drone, restando così in contatto con i fedelissimi che lo chiamavano papà”.

Dalle indagini condotte dalla Finanza sarebbero emerse “diverse condotte ritenute estorsive a danno di imprenditori del settore e le pressioni intimidatorie esercitate nei confronti degli operatori economici riottosi, con la paventata possibilità di ricorrere a violente rappresaglie, anche per imporre le scelte imprenditoriali in merito alle imprese da escludere o da favorire, tra cui quella riconducibile di fatto a Orazio Scuto”.

La forza di intimidazione del clan, secondo l’accusa, “sarebbe stata, peraltro, assicurata dalla disponibilità di armi, come testimoniato dal contenuto delle conversazioni captate e dal sequestro eseguito nei confronti di uno degli indagati, a riscontro delle attività tecniche, di due pistole semiautomatiche con matricola abrasa”

È stato poi il procuratore Francesco Curcio a sottolineare, nel corso della conferenza stampa, che “l’attività investigativa si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte sotto il profilo economico-finanziario della mafia imprenditrice, anche al fine di evitare i tentativi, sempre più pericolosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale e di partecipazione al capitale di imprese sane”.

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