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giudiziaria

Paternò, rigettati domiciliari per il sindaco Naso, la decisione del Tribunale del Riesame

La richiesta era stata avanzata dalla Procura etnea nell’ambito dell’inchiesta “Athena”, in cui il primo cittadino è indagato per voto di scambio politico-mafioso

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Niente arresti domiciliari per il sindaco di Paternò Nino Naso. Il Tribunale del riesame di Catania ha rigettato la richiesta di custodia cautelare agli arresti domiciliari chiesta dalla Procura etnea per Naso, indagato per voto di scambio politico-mafioso con il clan Morabito-Rapisarda nell’ambito dell’inchiesta ‘Athena’.

La nuova decisione arriva dopo che la Cassazione, nei mesi precedenti, aveva annullato con rinvio quella di un altro collegio del Tribunale del riesame che aveva accolto l’appello della procura di Catania e disposto i domiciliari per Nino Naso, sospendendo però il provvedimento in attesa del pronunciamento della Cassazione.  Naso, assistito dagli avvocati Maria Licata e Vincenzo Maiello, ha chiesto di essere giudicato con il processo immediato: la prima udienza si terrà a settembre. Dalle indagini della Dda etnea è scattata l’accesso ispettivo della prefettura di Catania al Comune di Paternò per verificare eventuali infiltrazioni.

L’inchiesta Athena si basa su indagini dei carabinieri della compagnia di Paternò e avrebbe fatto emergere gli interessi del clan Morabito sulle aste giudiziarie di immobili nelle province di Catania e Siracusa.

Nello scorso mese di aprile erano state depositate le motivazioni che avevano portato i giudici della Cassazione ad annullare con rinvio il provvedimento del precedente collegio del Tribunale del riesame emesso a settembre del 2024.

“La generica e indeterminata promessa da parte dell’esponente politico ‘di interessarsi’ all’assunzione di lavoratori, direttamente evocata dal Tribunale in alcuni punti dell’ordinanza impugnata, non può integrare la promessa di altra utilità” previsto nella contestazione del voto di scambio politico-mafioso”. Lo scrivevano i giudici della sesta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni con cui hanno annullato con rinvio la decisione del Tribunale del Riesame che, il 30 settembre 2024, aveva accolto l’appello della procura di Catania e disposto i domiciliari per il sindaco.  L’inchiesta si basava su indagini dei carabinieri della compagnia di Paternò, coordinate dal procuratore aggiunto di Catania, Ignazio Fonzo, e sostituti Tiziana Laudani e Alessandra Tasciotti, e avrebbe fatto emergere gli interessi del clan Morabito sulle aste giudiziarie di immobili nelle province di Catania e Siracusa e un presunto voto di scambio.

E sul “momento dell’effettiva stipulazione del patto politico elettorale e al suo contenuto”, la suprema Corte ha sottolineato come per il Tribunale etneo ‘il patto’ “non si sarebbe formalizzato in un unico momento preciso, ma dall’aprile 2021 al giugno 2022”. Sarebbero state riportate “intercettazioni ritenute indizianti”, ma senza una “compiuta definizione dell’accordo”.

Secondo la Cassazione, inoltre, il Tribunale del riesame “non ha motivato in ordine alle specifiche censure mosse dai difensori nelle memorie e non si sono confrontati con le dichiarazioni di Nino Naso nell’interrogatorio reso all’esito delle indagini preliminari”. Per la Suprema Corte “l’omessa valutazione di memorie difensive non determina la nullità, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della decisione”.

“Alla luce di questi rilievi – concludeva la Corte di Cassazione – l’ordinanza impugnata deve essere annullata e deve essere disposto il rinvio per un nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Catania che dovrà nuovamente motivare sull’appello proposto dal Pubblico ministero, uniformandosi ai principi stabiliti da questa Suprema Corte”.

AGGIORNAMENTO ORE 17 

Sul pronunciamento del Tribunale del Riesame c’è da registrare l’intervento del sindaco Nino Naso: “Apprendo con grande soddisfazione della decisione del Tribunale del Riesame di Catania, che si è uniformata alle decisioni della Suprema Corte di Cassazione, sulla insussistenza dei gravi indizi necessari per l’emissione di provvedimenti cautelari, che già il GIP di Catania aveva escluso. Sono, quindi, fiducioso di poter pienamente dimostrare, in tempi strettissimi come ho esplicitamente richiesto, la mia più assoluta e completa estraneità ai fatti che mi sono stati contestati, ribadendo piena e completa fiducia nel sistema giudiziario italiano. Confido che il Tribunale di Catania- a breve- faccia piena chiarezza perché possa emergere l’assoluta limpidezza dei miei comportamenti, sempre ed esclusivamente ispirati al raggiungimento del bene della mia amata collettività. Ringrazio i miei difensori l’avvocato Maria Donata Licata e il Professore Vincenzo Maiello, che con grande professionalità e passione, mi seguono e mi assistono” ha concluso il sindaco Naso .

 

giudiziaria

Catania, arrestato Orazio Buda, deve scontare 10 anni di carcere

E’ arrivata la sentenza definitiva per colui che viene considerato dalla Procura un esponente del clan “Cappello-Carateddi”. E’ stato condannato dalla Corte d’Appello etnea per associazione a delinquere di stampo mafioso

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I Finanzieri del comando provinciale di Catania hanno dato esecuzione ad un “ordine di carcerazione” a seguito di sentenza definitiva di condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso, emessa dalla Corte d’Appello etnea nei confronti di Orazio Buda, esponente del clan “Cappello-Carateddi”.

Buda era rimasto coinvolto nell’inchiesta “Sipario” condotta dalla Guardia di Finanza. Nell’indagine l’attenzione dei finanzieri si era incentrata su Orazio Buda, legato al gruppo di Orazio Privitera, esponente di vertice del clan “Cappello-Carateddi”, il quale “avrebbe sistematicamente provveduto a reimpiegare il denaro ricavato dalle condotte delittuose- scrivono dal comando provinciale della Guardia di Finanza- in attività commerciali affermate sul territorio e fittiziamente intestate a soggetti terzi (c.d. “prestanome” o “teste di legno”) al fine di schermarne la reale riconducibilità sia alla sua persona che al clan mafioso”.

Le indagini avrebbero consentito di individuare “numerosi atti estorsivi di Buda a danno di privati cittadini, imprenditori catanesi operanti nei settori dei trasporti e nei confronti di un noto e premiato pittore siciliano, dal quale avrebbe preteso e ottenuto l’elargizione di opere da destinare, in parte, a pubblici funzionari al fine di tessere rapporti relazionali utili per perseguire le finalità illecite del sodalizio criminale e, in parte, ad arredare alcuni esercizi commerciali al medesimo riconducibili”.

I finanzieri hanno proceduto nel 2021 all’esecuzione di un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Catania nei confronti di 22 soggetti, indagati, a vario titolo, per associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, corruzione, falso in atto pubblico, trasferimento fraudolento di valori, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, autoriciclaggio, corruzione elettorale, intralcio alla giustizia aggravato dal metodo mafioso.

Nella stessa indagine è stato disposto il sequestro preventivo dell’intero patrimonio di tre società aventi sede a Catania, operanti nella gestione di noti bar e ristoranti nel centro del capoluogo etneo, per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro. A

seguito di quell’indagini si è aperto il processo che ha recentemente portato alla condanna definitiva in secondo grado di Orazio Buda a 10 anni di reclusione, all’interdizione perpetua dai Pubblici Uffici e alla successiva misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di 3 anni.  Buda è stata prelevato dai finanzieri dal suo domicilio, sito nel quartiere etneo di Librino dove già scontava gli arresti domiciliari, per condurlo presso il carcere di “alta sicurezza” Catania-Bicocca.

 

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Cronaca

Catania, arrestati 5 uomini legati al clan Cappello- Bonaccorsi, condannati a pene residue

Si tratta di Emilio Cangemi, di 50 anni, Giuseppe Spartano, di 36, Giuseppe Di Stefano, di 48, Giuseppe La Rocca, di 30 e Giovanni Santoro di 42. Erano coinvolti nell’operazione ‘Minecraft’ eseguita il 28 gennaio del 2021 dalla Squadra Mobile

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A Catania la Polizia di stato ha  arrestato cinque persone condannate a pene residue comprese tra e otto e dodici anni di reclusione per vari titoli di reato: associazione mafiosa, traffico di stupefacenti e detenzione abusiva di armi con l’aggravante di aver commesso i fatti agevolare l’operatività del clan Cappello-Bonaccorsi. Si tratta di Emilio Cangemi, di 50 anni, Giuseppe Spartano, di 36, Giuseppe Di Stefano, di 48, Giuseppe La Rocca, di 30 e Giovanni Santoro di 42.

Erano coinvolti nell’operazione ‘Minecraft’ eseguita il 28 gennaio del 2021 dalla Squadra Mobile della Questura di Catania e dallo Sco della polizia. Nei loro confronti sono stati eseguiti cinque ordini di carcerazione emessi dalla Procura generale etnea.

Nel blitz furono fermate nove persone ritenute appartenenti al clan Cappello -Bonaccorsi e altre quattro furono arrestate in flagranza perché detenevano numerose armi e diversi quantitativi di stupefacenti per conto della cosca. Durante delle perquisizioni, eseguite nei villaggi balneari di Campo di Mare e Ippocampo di Mare, all’epoca roccaforti di quel gruppo mafioso, fu infatti trovato e sequestrato un arsenale, con fucili d’assalto e di precisione, pistole, innumerevoli munizioni e giubbotti antiproiettile.

L’operazione permise, inoltre, di sequestrare oltre 22 chilogrammi di marijuana essiccata e oltre 70 piante e all’attrezzatura necessaria alla coltivazione della droga e al confezionamento di ‘dosi’. In quell’occasione furono anche sequestrati circa 250 mila euro, ritenuti provento di attività criminali.

 

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