Cultura
S.M.di Licodia, Amministrazione Buttò ricorda strage di Capaci
Giovanni Buttò: “La legalità è cultura, coscienza morale, ma soprattutto modo di vivere!”

“Anche Falcone fu un disobbediente rispetto al sistema se no non avrebbe subito quella persecuzione. Il maxiprocesso fu un evento anche culturale: dimostrò che la mafia di può essere giudicata proprio nel suo regno”. (Nando Dalla Chiesa)
Si è tenuta oggi, anche a Santa Maria di Licodia, un momento di commemorazione per il XXXI anniversario della strage di Capaci, dove perse la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro per mano della mafia che ha voluto mettere a tacere l’azione di lotta portata avanti dal magistrato siciliano. È stata una rappresentanza dell’amministrazione licodiese a deporre nella tarda mattinata di oggi delle piante presso la stele della memoria realizzata dall’associazione Attivamente e posta in via Aldo Moro, avvolte dal nastro tricolore.
“In questa Giornata dedicata alla Legalità” ha scritto in una nota il sindaco Giovanni Buttò “tutta l’amministrazione vuole ricordare il Magistrato Giovanni Falcone, vittima della mafia, non solo con il gesto simbolico della deposizione di alcune piante presso l’effige a lui dedicata in via Aldo Moro, ma soprattutto lanciando un messaggio forte e deciso contro la mentalità mafiosa e per promuovere e far crescere nelle nuove generazioni semi di legalità che ci aiuteranno a costruire il futuro della nostra società. Il messaggio è quello di reinventare la legalità evitando decisamente di rassegnarsi all’esistente. Non rassegniamoci all’esistente! La legalità è cultura, coscienza morale, ma soprattutto modo di vivere!”

Cultura
Visite gratuite nei musei e nei parchi archeologici in Sicilia
A stabilirlo è stato l’assessorato regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana

Chiesa
Uno scrigno di tesori dietro l’angolo
Dentro la cappella del SS. Crocifisso a Paternò, tre ambienti allestiti coi temi pasquali. Uno spazio di arte e preghiera.

Chi potrebbe dirlo?
Solo pochi.
Percorrendo la leggera salita di via S. Caterina a Paternò, sul fianco ovest del complesso monumentale del monastero delle benedettine, la porticina in ferro battuto che protegge la cappella del SS. Crocifisso, nel tempo pasquale, schiude al fortunato visitatore un tesoro d’arte e di fede.
Da Paternò i più non si a spettano mai granché. E’ la nostra cultura diffusa, fatta di sospetto e, nel migliore dei casi, di scetticismo. Eppure, ai crocicchi della collettività, talora si alza la voce di chi ricorda ai suoi che ci sarebbe molto di che gloriarsi. Si alza quella voce e si è alzata nel tempo: quanti hanno profuso energie e cura perché la città potesse erigersi in alto, fiera di se stessa. E invece, ad oggi quella voce di fierezza se la porta il vento e Paternò sopravvive su se stessa, dimentica del suo orgoglio, salvo qualche nostalgico rigurgito.
Ma torniamo alla via S. Caterina e a quella piccola cappella. Pare che racchiuda un Presepe pasquale.
Entri e trovi l’aula della cappella allestita coi segni della Passione, dalla tavola dell’ultima cena, ai simboli della flagellazione, al reliquiario con un frammento della Santa Croce…ma non è ancora il Presepe pasquale. Procedi, sulla sinistra, ad una sala posteriore e ti ritrovi davanti ad una piccola Gerusalemme, coi suoi abitanti, per le strade e nelle case, con le lucine accese. Da ogni parte, la presenza dei legionari romani, armati di scudo e spada, a presidiare la zona. L’occhio allora inizia a metter a fuoco i singoli scenari e allora scorgi che c’è una via sparsa di palme su cui avanza un asinello con sulla groppa il Cristo e sei proprio all’inizio della narrazione che conosci bene ma che riscopri di scena in scena quasi come fosse nuova. È la narrazione che ognuno vuol sentirsi narrare e a cui ognuno sente il bisogno di credere ciecamente, per resistere alla fatica di ogni giorno che passa e al peso degli anni che vanno via e che portano cambiamenti su cambiamenti mentre l’anima vorrebbe solo punti fissi e certi, posti sicuri su cui riposare.
Ecco perché ti fermi ogni volta e la riascolti quella storia che sul finale, nell’ultima dolcissima scena, sulla sommità di un monte, mostra una statuetta di un Cristo in abito bianco e mantello rosso che reca in mano lo stendardo svolazzante della Risurrezione.
Che storia, questa! La più bella storia di sempre.