Connect with us

giudiziaria

Sicilia, caso “Diciotti”, Cassazione accoglie ricorso migranti, Governo deve risarcirli

A presentarlo un gruppo di eritrei a cui nel 2018 fu impedito, dall’allora ministro Salvini, di sbarcare dalla nave della Guardia Costiera, che li aveva soccorsi in mare. I profughi avevano chiesto che gli fosse risarcito il danno morale determinato dalla privazione della libertà

Pubblicato

il

FOTO "ANSA"

E’ scontro aperto tra governo e magistratura. La Cassazione ha accolto il ricorso presentato da un gruppo di migranti eritrei a cui, dal 16 al 25 agosto del 2018 fu impedito dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini di sbarcare dalla nave Diciotti della Guardia Costiera, che li aveva soccorsi in mare. I profughi avevano chiesto che il Governo risarcisse loro il danno morale determinato dalla privazione della libertà, ma l’istanza era stata bocciata dalla corte d’appello di Roma.

Da qui l’impugnazione in Cassazione che ha dato ragione ai migranti, rinviando al giudice di merito la quantificazione del danno, ma di fatto condannando il Governo. Le reazioni dell’esecutivo non si sono fatte attendere: “non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante”, attacca la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sui social.

Più duro ancora Matteo Salvini che parla di “sentenza vergognosa e invita i giudici a pagare di tasca loro, “se amano tanto i clandestini”. Mentre l’altro vicepremier Antonio Tajani torna a sostenere che il dovere del Governo è di difendere i confini nazionali: “Ma se tutti gli immigrati irregolari chiedessero un risarcimento facciamo fallire le casse dello Stato”. Un po’ il concetto sottolineato dal Guardasigilli Carlo Nordio, che ha accusato i giudici di non tener conto delle “conseguenze devastanti” di certe decisioni. “Aldilà del rigore della legge formale e della sua applicazione – dice critico il ministro – bisogna stare attenti ai risultati, che possono essere devastanti in altri settori”.

Mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi osserva: “Le sentenze si rispettano ma si possono commentare, con profondo rispetto eseguiremo questa sentenza ma non la condivido affatto”. Un fuoco di fila che ha costretto la prima presidente della Suprema Corte Margherita Cassano a diramare un comunicato stampa. Un gesto quasi del tutto inedito. “Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica – scrive il magistrato – Sono invece inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto”. E la sezione della Cassazione della Giunta dell’Anm rincara la dose: “pretesti per attaccare la magistratura”. Con le toghe si schiera la segretaria del Pd Elly Schlein: “Giorgia Meloni continua ad alimentare lo scontro con la magistratura per coprire i fallimenti del suo governo.

Ma la Cassazione è l’ultimo grado di giudizio, come stabilito dalla Costituzione, che non cambia in base al suo umore”, dice in linea con il leader del M5s Giuseppe Conte secondo il quale la premier “usa il caso Diciotti in modo miserevole”. La decisione, per l’autorevolezza dell’organo che l’ha emessa, avrà un peso sulle future questioni giudiziarie in materia. A cominciare dalla vicenda processuale, conclusa con l’assoluzione in primo grado del leader leghista, della nave Open Arms che vedeva imputato Salvini con l’accusa di sequestro di persona. Stesse accuse del caso Diciotti, finito nel nulla per il no all’autorizzazione a procedere espresso dal Senato.

La Procura di Palermo, che ha istruito il processo Open Arms e che certamente ricorrerà in appello contro l’assoluzione di Salvini, avrà dalla sua il provvedimento delle sezioni unite che, peraltro, sembra recepire il ragionamento dei pm in diversi punti. Come sul principio che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare non possa considerarsi un atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. “E’ un atto amministrativo e perciò sindacabile”, dicono le sezioni unite.

Anche sull’obbligo di soccorso in mare, poi, la Corte sembra pensarla come la Procura. “Corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere di tutti i soggetti che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità e come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”, scrivono i giudici. Netta la corte anche sul fatto che l’Italia avrebbe dovuto organizzare lo sbarco, “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”.

amministrazione

Mascalucia, Mosema: 13 indagati per bancarotta fraudolenta, fra questi sindaci ed ex amministratori

L’inchiesta ha fatto emergere gravi irregolarità nella gestione economico-finanziaria dell’azienda

Pubblicato

il

La Procura della Repubblica di Catania ha notificato un avviso di conclusione delle indagini a 13 persone, accusate di bancarotta fraudolenta nell’ambito dell’inchiesta sul fallimento della Mosema, la società che si occupava della gestione dei rifiuti nel Comune di Mascalucia, dichiarata fallita nel 2020. L’indagine, coordinata dai pubblici ministeri Fabio Saponara e Margherita Brianese, è nata da una relazione redatta dal curatore fallimentare nominato per la gestione della società. L’inchiesta ha fatto emergere gravi irregolarità nella gestione economico-finanziaria dell’azienda.

Tra gli indagati, come riportato dal quotidiano La Sicilia, figurano nomi di rilievo delle istituzioni locali: l’attuale sindaco di Mascalucia Vincenzo Antonio Magra, l’ex primo cittadino Giovanni Leonardi, l’attuale presidente di Kalatambiente Concetta Italia, e il commercialista Fabio Sciuto.

Le accuse

Le ipotesi di reato si articolano in due distinti capi d’imputazione: la Manipolazione dei bilanci che riguarda -scrive ancora il quotidiano “La Sicilia”- gli ultimi presidenti del consiglio di amministrazione della Mosema: Concetta Italia, Gaetano Antonino Belfiore, Fabio Sciuto, Angelo Spina. Coinvolti anche il liquidatore Maurizio Verona, in carica dal maggio 2019, e i consiglieri delegati Maria LombardoGiuseppe Finocchiaro e Salvatore Fazio. Secondo l’accusa, avrebbero deliberatamente fornito dati falsi o omesso informazioni rilevanti sulla reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’azienda, già in crisi dal 2013.

Il secondo capo d’imputazione- si legge ancora nel quotidiano “La Sicilia”- coinvolge gli amministratori e funzionari del Comune di Mascalucia, socio di maggioranza della Mosema. Oltre ai sindaci Leonardi (in carica dal 2013 al 2018) e Magra (dal 2018), risultano indagati: Danilo Ambra, ex responsabile dell’area finanziaria Alfio Raffaele Gibilisco, ex responsabile dell’area tecnico-urbanistica, Filippo Pesce.

Secondo i magistrati, le condotte dolose degli indagati avrebbero causato direttamente il dissesto finanziario della Mosema, compromettendo definitivamente l’operatività dell’azienda pubblica.

Continua a leggere

giudiziaria

Catania, inchiesta antimafia “Doppio Petto”, arrivano le prime condanne

Il GUP ha emesso, in primo grado e col rito abbreviato, 20 condanne per oltre 180 anni. Si tratta di persone vicine al clan Ieni, guidato dal boss deceduto Giacomo Maurizio, ritenuto ai vertici della cosca mafiosa Pillera-Puntina

Pubblicato

il

E’ arrivata la sentenza dell’inchiesta antimafia “Doppio petto. Il Giudice per le udienze preliminari Anna Maria Cristaldi ha emesso condanne per 20 persone per oltre 180 anni di reclusione.

Processo celebrato col rito abbreviato e che riguardato elementi vicini al clan Ieni, guidato dal boss deceduto Giacomo Maurizio, ritenuto ai vertici della cosca mafiosa Pillera-Puntina. A capo del gruppo ci sarebbero stati i figli del capomafia, Francesco e Dario Giuseppe Antonio Ieni, condannati, rispettivamente, a 20 anni e a 12 anni e otto mesi di reclusione.

Ai due fratelli il 16 ottobre del 2024 la polizia ha notificato un’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa emessa dal Tribunale del riesame che ha accolto un ricorso della Procura, presentato dall’aggiunto Ignazio Fonzo e dai sostituti Assunta Musella e Fabio Platania, contro la decisione del gip che aveva rigettato la misura per i reati di associazione mafiosa e l’aggravante mafiosa nei confronti dei due indagati.

Condannate per estorsione, rispettivamente a sette anni e sei mesi e a dieci anni di reclusione anche la figlia, Piera Liliana Ieni, e la vedova, Francesca Viglianesi, del capomafia deceduto.

I due fratelli Ieni, Dario Giuseppe Antonio e Francesco, e Francesca Viglianesi sono stati anche condannati a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali, con una provvisionale di 10.000 euro, all’imprenditore Angelo Di Martino, titolare di un’impresa di trasporti che il 4 dicembre del 2023 si è dimesso da presidente di Confindustria Catania dopo l’operazione ‘Doppio petto’.

Dall’inchiesta sarebbe emerso che avrebbe pagato il ‘pizzo’ al clan senza denunciare l’estorsione. L’operazione ‘Doppio petto’ della Squadra Mobile è stata eseguita il 1 dicembre del 2023, con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare per 18 indagati accusati, a vario titolo e con differenti profili di responsabilità, di detenzione e porto di armi, estorsione aggravata dal metodo mafioso, usura, trasferimento fraudolento di valori, associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
 

Continua a leggere

Trending