Dopo anni di attesa, è maturata un’insaziabile curiosità. Se ne è parlato a tanto, per secoli, e ora finalmente, quell’oggetto tanto discusso è lì, ben visibile. Nessuno può toccarla, ma in quel piccolo riquadro di marmo si cela una storia avvolta nel mistero. L’epigrafe di Iulia Florentina è tornata casa.
Aperta il 18 luglio scorso, la mostra “Revelare. Agata rivive Iulia”, visitabile fino al prossimo 6 marzo, allestita nella sala principale del Museo Diocesano di Catania. Al centro dell’esposizione, la preziosa epigrafe, racchiusa in una microarchitettura concepita per evocare un dromos sepolcrale: come una pietra scavata, una soglia da attraversare, un passaggio tra stati dell’essere, proprio come tra due vagoni di un treno in corsa.
Tutto per far vivere una esperienza di un cammino, spirituale e simbolico, verso Iulia, verso il messaggio cristiano, verso la santità. Non se né parlato abbastanza, ma quella suggestione prodotta, è il frutto di un progetto condiviso che ricorda museografi europei. C’è la mano dell’architetto Francesco Finocchiaro di officina 21, ci fa piacere evidenziarlo perché paternese, un progetto condiviso con Giuseppe Amodore e Giovanna Cannata.
Nè a Louvre, Berna o Berlino, siamo nella sala grande del modesto museo diocesano di Catania. Ora chi vi entra ha l’occasione di indagare, aprire un processo cognitivo personale. Cos’è per me questa pietra? Oltre al fascino del mistero, si dispiega dunque una nuova narrazione scontinua, che si intreccia con un raffinato percorso architettonico.
Il ritorno dell’epigrafe a Catania — proprio dove fu ritrovata secoli fa — è il cuore di un progetto espositivo dal forte valore retrospettivo. Una struttura leggera, sospesa, ma al contempo imponente: una lama di luce ne scandisce il sentiero, direzione e prospettiva.
La cavità che la ospita richiama la caverna primordiale, le tombe etrusche e quelle paleocristiane. Un acceleratore prospettico che introduce il visitatore all’interno di un labirinto simbolico: il dromos, immerso nell’oscurità, conduce infine alla luce. A quella pietra scolpita da parole che raccontano una storia toccante della cristianità.
Sono giunti fino a noi due elementi fondamentali: la pietra e la storia che essa custodisce. Un racconto inciso, carico di forza e, forse, persino di fede. Una sacralità che trasforma questa lastra marmorea in una testimonianza inestimabile. La bambina Iulia diventa così il pretesto per affrontare grandi temi: la transizione dal paganesimo al cristianesimo, la conversione collettiva, il cammino di fede, l’avvicinamento alla luce, il passaggio simbolico dalla morte alla vita. È anche l’occasione per celebrare la profonda fede di una “famiglia romana” che segue i segni, che si immerge nel miracolo della bambina santa, divenendo testimone di fede.
Il testo dell’epigrafe ci restituisce dettagli preziosi: il nome Iuliae Florentinae, il battesimo a Hybla, le date di nascita e morte. La bambina rivive solo per poche ore, e una voce misteriosa, attribuita alla Maestà Divina.
E allora ci si chiede: perché Iulia non è sepolta a Hybla? Perché a Catania? Perché in un luogo dedicato ai martiri e non accanto al tempio pagano di Venere? E poi, nel ‘700, la lapide riaffiora e poi scomparire, iniziando il suo viaggio verso la Francia.
Questa pietra riemerge dal sottosuolo, dal cuore del tempo. Un’epigrafe funeraria che ricorda una bambina morta nel 320 d.C., ritrovata nel 1730. Con il tempo, la storia della lastra si carica di elementi enigmatici: contesa a Catania tra due nobili famiglie di collezionisti, nel 1793 viene trasportata a Parigi e acquistata dal Louvre nel 1825. Poi l’oblio: per anni dimenticata nei sotterranei del museo.
A Paternò, l’antica Hybla, la storia di Iulia non è mai stata dimenticata. La sua appartenenza a una famiglia del luogo era ben nota ai moderni abitanti. Nel 1958, in occasione dell’inaugurazione del salone conferenze presso la Biblioteca Comunale “G.B. Nicolosi”, lo storico Barbaro Conti riportò gli atti di una conferenza memorabile, organizzata dal prof. Emanuele Rapisarda con il patrocinio del Comune. Presenti anche il prof. Enzo Manganuco e il prof. Santo Mazzarino, che il 2 maggio 1958 tennero la conferenza “Una fanciulla dell’antica Paternò e i problemi del cristianesimo constantiniano”.
Nonostante il lungo oblio, la pietra continua a parlare, soprattutto al cuore degli studiosi. Mons. Gaetano Zito che volle realizzare una prima copia, ai giorni nostri la professoressa Cristina Soraci, ha dedicato ricerche approfondite alla vicenda. Al club service Kiwanis di Paternò, al suo presidente Angelo Corsaro, l’architetto Francesco Finocchiaro e padre Salvatore Patanè si deve l’iniziativa di aver posto una copia, nella chiesa Matrice di Paternò. Il 17 novembre 2022, organizzata dalla locale sezione dell’Archeoclub d’Italia Ibla major, nella chiesa più antica di Paternò — un tempo appartenente ai benedettini — si è tenuto un importante convegno su Iulia Florentina, alla presenza dell’arcivescovo metropolita di Catania, Mons. Luigi Renna, appena giunto in diocesi, insieme alla stessa Soraci e al prof. Vittorio Rizzone e dello stesso Francesco Finocchiaro.
Il primo miracolo – dice soddisfatta Cristina Soraci – è già presente agli occhi di chi vuol vedere. L’epigrafe è tornata nella sua terra. Assistiamo dunque alla nascita di una nuova consapevolezza, frutto di un rinnovato e genuino interesse nei confronti di una verità storica che riemerge grazie alle fonti, nascoste, sopravvissute e ritrovate.
L’epigrafe di Iulia Florentina resta esposta a Catania, ma ridona anche un’anima autentica all’antica città di Hybla Maior, oggi Paternò.