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Cultura

Vincenzo Spampinato e la strada che porta all’amore

Intervista al cantautore catanese che si racconta fra passato e futuro

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Prestigio e orgoglio per la musica leggera d’autore italiana e internazionale, ovvero Vincenzo Spampinato. Vi conduco a fare quattro chiacchiere con l’autore di grandi successi come “Per Lucia” e collaborazioni con nomi di grande calibro quali Franco Battiato, Lucio Dalla, Fausto Leali, Riccardo Fogli sino a Aretha Franklin, Brian Auger e Arthur Brown.

Spampinato, mi piacerebbe partire dal suo luogo d’origine, ovvero Catania. Cosa significa crescere artisticamente e avere un consenso di ampio respiro nella città etnea?
Catania negli anni ’70 era una città che pullulava di gruppi e band musicali, ma in un tessuto sociale ancora povero di spazi e ostile nell’accettare il nuovo sound che proponevamo noi “capelloni”.  Ma grazie ai nostri sogni, al nostro crederci, alla nostra costanza, Catania raggiunse il merito e la nomea di una nuova Seattle negli anni ’90!

Che effetto le fa pensare al futuro della nostra città e soprattutto come vorrebbe che sia musicalmente? 
La vorrei esattamente com’è, piena di pub, di spazi dove i giovani possano continuare a crescere nella musica e in ogni forma d’arte. Farei però più attenzione e creerei centri di aggregazione culturale, una sorta di Agorà dove far crescere un nuovo “pensiero” e nuovi stili di ogni tipo di arte.

Per otto anni è stato direttore artistico della manifestazione intitolata “Le Ciminiere e le Stelle” organizzata nel capoluogo etneo. Con quale trasporto emozionale ha condotto tale esperienza e oggi cosa sente di dire a chi non vuole o non può continuare questo evento come tanti altri appuntamenti culturali e centrali per la zona etnea?
Credo e spero di averlo fatto con passione e sacrificio, cercando di variegare l’offerta artistica per la nostra città, dando giustamente spazio anche agli artisti emergenti etnei. Oggi purtroppo noto che le istituzioni sono poco sensibili alla cultura e all’arte e mi auguro che si possa tornare a colmare questo vuoto,perché l’arte e la cultura alimentano i sogni e i sogni cambiano il mondo!

Lei cura anche le scenografie degli spettacoli e lo fa anche per i suoi concerti. La passione per la scenografia è pari alla passione che infonde nella sua musica? 
Io ho sempre creduto nel fatto che la musica si possa presentare in maniera semplice, ma se puoi dargli un vestito diverso e originale entra meglio nell’anima del pubblico.

Una domanda molto intima. Un cantautore come Lei può passare periodi in cui l’ispirazione va in soffitta? Ha avuto il timore che questa se ne andasse definitivamente?
Quando un artista non fa arte per il denaro, non perde mai la sua strada, la sua voglia di comunicare e va avanti dritto oltre tutte le montagne!

“Bella e il mare” è una delle Sue canzoni che vede l’eccezionale partecipazione di Lucio Dalla e parla di una ragazza non udente. Qual è stata la sua emozione appena sentito la voce del mare interpretata da questo grande artista?
Cercavo qualcuno che potesse far sentire l’utopia del mare, solo Lucio poteva tirar fuori le onde più belle dalle sue prodigiose corde vocali.

Lei, per la mancata uscita della Santuzza Agata a causa del Covid, compose “Frivaru senza Tia”. Ci rende partecipi della Sua emozione mentre dava alla luce questo brano?
Ci sono assenze che puoi sopportare e altre che non riesci ad accettare, S. Agata è fede, luce per noi catanesi!

“Judas” è il titolo di uno dei suoi album dove si allude a Giuda, il traditore del quale ci narrano i Vangeli. Secondo lei chi sono i nuovi Giuda in quest’epoca?
Occorre fare una precisazione e una domanda: Giuda volle tradire o gli fu chiesto di tradire? Per quanto mi riguarda i traditori sono sempre quelli che la storia ci ha fatto conoscere…quelli che fanno i loro sporchi interessi ai danni del popolo!

Lei compone anche in lingua siciliana e lo fa con orgoglio. Cosa significa scrivere in vernacolo e poi cosa dice alla gente, soprattutto giovane, che non frequenta la nostra lingua?
Il mio istinto verbale e di pensiero nasce in siciliano, meravigliosa lingua letteraria, ormai purtroppo passata in secondo piano, dimenticando Federico II, Cielo D’Alcamo e tutta la nostra scuola, dalla quale anche Dante ha imparato. I giovani, mi dispiace dirlo, dovrebbero frequentare più i libri e meno i social.

“L’amore nuovo” è il brano che ha cantato con il Maestro Franco Battiato. Secondo lei per suggellare un amore e renderlo sempre vivo e interessante, quali ingredienti andrebbero adoperati?
Tra le righe di questa mia canzone ho cercato con umiltà la strada che porta all’amore, tra sassi e baci credo che bisogna imparare a diventare semplici nel cuore e nei gesti per amare veramente.

Vincenzo Spampinato come vede Vincenzo Spampinato nel futuro?
Sono figlio di Socrate e della filosofia… Credo ad Eraclito l’oscuro… tutto scorre, cambia, sarebbe troppo monotono rimanere se stessi per sempre. Il nuovo porta avanti, ma mi si consenta non questo tipo di “nuovo” che attualmente stiamo vivendo, o meglio subendo, questo nuovo è vecchio, falso, è marcio e inquina, illude senza retorica le menti dei giovani!

Foto: Marcoraitano – Opera propria, CC BY-SA 4.0

Cultura

Catania, la mostra “Revelare. Agata rivive Iulia”

Al centro dell’esposizione, la preziosa epigrafe di Iulia Florentina, “racchiusa in una microarchitettura concepita per evocare un dromos sepolcrale: come una pietra scavata, una soglia da attraversare, un passaggio tra stati dell’essere, proprio come tra due vagoni di un treno in corsa”

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Dopo anni di attesa, è maturata un’insaziabile curiosità. Se ne è parlato a tanto, per secoli, e ora finalmente, quell’oggetto tanto discusso è lì, ben visibile. Nessuno può toccarla, ma in quel piccolo riquadro di marmo si cela una storia avvolta nel mistero. L’epigrafe di Iulia Florentina è tornata casa.

Aperta il 18 luglio scorso, la mostra “Revelare. Agata rivive Iulia”, visitabile fino al prossimo 6 marzo, allestita nella sala principale del Museo Diocesano di Catania. Al centro dell’esposizione, la preziosa epigrafe, racchiusa in una microarchitettura concepita per evocare un dromos sepolcrale: come una pietra scavata, una soglia da attraversare, un passaggio tra stati dell’essere, proprio come tra due vagoni di un treno in corsa.

Tutto per far vivere una esperienza di un cammino, spirituale e simbolico, verso Iulia, verso il messaggio cristiano, verso la santità. Non se né parlato abbastanza, ma quella suggestione prodotta, è il frutto di un progetto condiviso che ricorda museografi europei. C’è la mano dell’architetto Francesco Finocchiaro di officina 21, ci fa piacere evidenziarlo perché paternese, un progetto condiviso con Giuseppe Amodore e Giovanna Cannata.

Nè a Louvre, Berna o Berlino, siamo nella sala grande del modesto museo diocesano di Catania. Ora chi vi entra ha l’occasione di indagare, aprire un processo cognitivo personale. Cos’è per me questa pietra? Oltre al fascino del mistero, si dispiega dunque una nuova narrazione scontinua, che si intreccia con un raffinato percorso architettonico.

Il ritorno dell’epigrafe a Catania — proprio dove fu ritrovata secoli fa — è il cuore di un progetto espositivo dal forte valore retrospettivo. Una struttura leggera, sospesa, ma al contempo imponente: una lama di luce ne scandisce il sentiero, direzione e prospettiva.

La cavità che la ospita richiama la caverna primordiale, le tombe etrusche e quelle paleocristiane. Un acceleratore prospettico che introduce il visitatore all’interno di un labirinto simbolico: il dromos, immerso nell’oscurità, conduce infine alla luce. A quella pietra scolpita da parole che raccontano una storia toccante della cristianità.

Sono giunti fino a noi due elementi fondamentali: la pietra e la storia che essa custodisce. Un racconto inciso, carico di forza e, forse, persino di fede. Una sacralità che trasforma questa lastra marmorea in una testimonianza inestimabile. La bambina Iulia diventa così il pretesto per affrontare grandi temi: la transizione dal paganesimo al cristianesimo, la conversione collettiva, il cammino di fede, l’avvicinamento alla luce, il passaggio simbolico dalla morte alla vita. È anche l’occasione per celebrare la profonda fede di una “famiglia romana” che segue i segni, che si immerge nel miracolo della bambina santa, divenendo testimone di fede.

Il testo dell’epigrafe ci restituisce dettagli preziosi: il nome Iuliae Florentinae, il battesimo a Hybla, le date di nascita e morte. La bambina rivive solo per poche ore, e una voce misteriosa, attribuita alla Maestà Divina.

E allora ci si chiede: perché Iulia non è sepolta a Hybla? Perché a Catania? Perché in un luogo dedicato ai martiri e non accanto al tempio pagano di Venere? E poi, nel ‘700, la lapide riaffiora e poi scomparire, iniziando il suo viaggio verso la Francia.

Questa pietra riemerge dal sottosuolo, dal cuore del tempo. Un’epigrafe funeraria che ricorda una bambina morta nel 320 d.C., ritrovata nel 1730. Con il tempo, la storia della lastra si carica di elementi enigmatici: contesa a Catania tra due nobili famiglie di collezionisti, nel 1793 viene trasportata a Parigi e acquistata dal Louvre nel 1825. Poi l’oblio: per anni dimenticata nei sotterranei del museo.

A Paternò, l’antica Hybla, la storia di Iulia non è mai stata dimenticata. La sua appartenenza a una famiglia del luogo era ben nota ai moderni abitanti. Nel 1958, in occasione dell’inaugurazione del salone conferenze presso la Biblioteca Comunale “G.B. Nicolosi”, lo storico Barbaro Conti riportò gli atti di una conferenza memorabile, organizzata dal prof. Emanuele Rapisarda con il patrocinio del Comune. Presenti anche il prof. Enzo Manganuco e il prof. Santo Mazzarino, che il 2 maggio 1958 tennero la conferenza “Una fanciulla dell’antica Paternò e i problemi del cristianesimo constantiniano”.

Nonostante il lungo oblio, la pietra continua a parlare, soprattutto al cuore degli studiosi. Mons. Gaetano Zito che volle realizzare una prima copia, ai giorni nostri la professoressa Cristina Soraci, ha dedicato ricerche approfondite alla vicenda. Al club service Kiwanis di Paternò, al suo presidente Angelo Corsaro, l’architetto Francesco Finocchiaro e padre Salvatore Patanè si deve l’iniziativa di aver posto una copia, nella chiesa Matrice di Paternò.   Il 17 novembre 2022, organizzata dalla locale sezione dell’Archeoclub d’Italia Ibla major, nella chiesa più antica di Paternò — un tempo appartenente ai benedettini — si è tenuto un importante convegno su Iulia Florentina, alla presenza dell’arcivescovo metropolita di Catania, Mons. Luigi Renna, appena giunto in diocesi, insieme alla stessa Soraci e al prof. Vittorio Rizzone e dello stesso Francesco Finocchiaro.

Il primo miracolo – dice soddisfatta Cristina Soraci – è già presente agli occhi di chi vuol vedere. L’epigrafe è tornata nella sua terra. Assistiamo dunque alla nascita di una nuova consapevolezza, frutto di un rinnovato e genuino interesse nei confronti di una verità storica che riemerge grazie alle fonti, nascoste, sopravvissute e ritrovate.

L’epigrafe di Iulia Florentina resta esposta a Catania, ma ridona anche un’anima autentica all’antica città di Hybla Maior, oggi Paternò.

 

 

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Cultura

Catania, “Dall’Angoscia alla Speranza”: nella ferita nasce la cura

Un viaggio collettivo che unisce psicologia e bellezza per riscoprirsi umani, insieme

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“Dall’Angoscia alla Speranza” non è solo un evento, è un’esperienza che vibra, pulsa, respira. È uno spazio protetto e potente in cui l’individuo si spoglia delle difese e torna a sentire. A sentirsi. È un progetto che nasce da un’urgenza reale: quella di riconoscere il disagio, l’inquietudine, il dolore che spesso restano sotto pelle, inespressi, ignorati o camuffati. E invece qui trovano voce, forma, corpo. Nato dall’intuizione e dalla collaborazione della psicologa immaginale Consolata Emmanuele, della giornalista e scrittrice Domenica Signorello e del DJ e content creator Salvo Saladdino, questo percorso itinerante non è una conferenza, non è uno spettacolo, ma un atto d’amore collettivo. Un’esperienza multidisciplinare in cui la psicoanalisi si intreccia con la musica, la danza immaginale con la poesia, la scrittura autobiografica con l’ascolto profondo. Qui l’intelletto cede il passo al cuore, e la mente dialoga con il corpo. Ogni gesto, parola o suono è un invito ad attraversare l’angoscia non come prigione, ma come passaggio verso una verità più grande. L’elemento più rivoluzionario è che nessuno resta ai margini: il pubblico non assiste, vive. Danza, scrive, si racconta, risuona. Ogni incontro diventa unico, perché è costruito insieme, con l’energia di chi è presente. Si diventa tribù non per retorica, ma per bisogno naturale di appartenere, di sapere che non siamo soli nella nostra fragilità. Il corpo si muove, la voce si rompe e si ricompone, le emozioni si liberano. E proprio in questo movimento condiviso, avviene una trasformazione autentica. Il progetto non offre risposte prefabbricate, ma crea le condizioni perché ognuno possa incontrare sé stesso e riconoscersi nell’altro. È un rito laico, contemporaneo, in cui l’arte diventa medicina e la vulnerabilità una chiave per accedere alla parte più vera di sé. “Dall’Angoscia alla Speranza” è un invito coraggioso a guardarsi dentro senza paura, e a farlo insieme. Perché, nel profondo, è questo che siamo: esseri umani alla ricerca di senso, d’amore, di contatto. E quando si trova uno spazio dove tutto questo è possibile, allora sì, nasce qualcosa di raro. Qualcosa che cura. A Catania è successo davvero. E continuerà a succedere, ogni volta che una nuova tribù si formerà attorno a questo fuoco invisibile.

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