Si sono svolti nel pomeriggio di oggi, alle ore 16:30, nella Basilica Cattedrale di Sant’Agata a Catania, i funerali di Santo Salvatore Giambattista Re, il giovane pasticcere trentenne del bar Quaranta, tragicamente ucciso a coltellate lo scorso 30 maggio sul lungomare di Ognina. A presiedere la celebrazione delle esequie è stato l’Arcivescovo di Catania, S.E.R. Mons. Luigi Renna, che ha rivolto parole di conforto ai familiari, agli amici e alla comunità cittadina profondamente colpita dalla drammatica scomparsa del giovane.
La città si è stretta attorno al dolore della famiglia, partecipando numerosa al rito funebre, in un clima di commozione e raccoglimento.
Le parole dell’arcivescovo di Catania, Renna:
“Accanto al sepolcro di Sant’Agata, la nostra città soffre e riflette, ma non vuole perdere la speranza. Perché ogni volta che varchiamo la soglia di una chiesa, testimoniamo di averne ancora.
Soffriamo con chi soffre: con te, cara moglie di Santo, con voi, cari genitori. Preghiamo affinché la sofferenza resti lontana dalla bambina nata dal vostro amore. Con la grazia di Dio, sono certo che troverete la forza di colmare questo grande vuoto. Il Borgo è un quartiere laborioso e accogliente, tra le parti più belle di Catania. Oggi è stato ferito profondamente. La sofferenza è grande, perché questa morte è diversa dalle altre. Non è la fine naturale di chi ha raggiunto una veneranda età o quella segnata da una lunga malattia. È la morte causata da una mano che più volte era stata da lui nutrita. È un monito per tutti: quando la giustizia trionfa, contribuiamo a evitare che simili tragedie si ripetano.
La sofferenza è quella di Cristo sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato». Non sappiamo quali parole siano uscite dalla bocca di Santo negli ultimi istanti, forse si è affidato a Dio. Nel Vangelo, è il centurione, colpito dal modo in cui Gesù è morto, a riconoscerlo come Figlio di Dio. Così anche noi possiamo riconoscere la grandezza dell’uomo Santo nel modo in cui ha vissuto e, purtroppo, anche nel modo in cui è morto. Vorrei che il Cristo crocifisso non scompaia dai vostri cuori. Chi muore per mano violenta ci dona una speranza che va oltre questa vita.
Tutta Catania oggi soffre, ma riflette anche. Perché la sofferenza, quando è autentica, non ci toglie la ragione, ma ci fa ritrovare i sentimenti veri. Abbiamo il dono della fede, ma anche quello dell’intelletto. La morte di Santo è la morte di un uomo onesto, che tornava a casa dopo una giornata di lavoro, con il desiderio di incontrare la sua famiglia. Una vita laboriosa è una vita degna e per questo possiamo dire: “Ecco, era un uomo buono”. Era generoso, aiutava anche chi, alla fine, lo ha tradito. Una storia che si ripete, come quella di Gesù che spezza il pane con Giuda.
Santo era un uomo disarmato – come dovrebbero essere tutti. Un uomo onesto non ha bisogno di portare un’arma in tasca. Questo ci invita a tante riflessioni. Il nostro sguardo va da Santo a colui che l’ha ucciso. E ci chiediamo: come si può trasformare un uomo, da essere nutrito e accolto, in assassino?

Dietro questi episodi si nasconde un degrado profondo, che genera altro degrado. Ma noi, come popolo, non possiamo smettere di sperare. Nessuno vive o muore per sé: siamo del Signore. E nel Signore, un giorno, i suoi cari potranno riabbracciare Santo.
Catania vuole risorgere, vuole dire basta a certe formule come quella dei parcheggiatori abusivi che non sono attività legali. Catania vuole risorgere con gesti concreti, come il rifiuto delle armi, anche nelle mani dei più piccoli. Quanta violenza è nata là dove le armi erano già in casa.
Catania deve vivere di lavoro onesto, come quello di Santo. Sperare vuol dire cambiare questa città. Farlo per i figli, come la bambina di Santo. Guardandoli negli occhi, possiamo dire: “Catania non deve essere questa”. Non dipende dal destino, ma da noi.
Sono certo che il sacrificio di Santo non cadrà nel vuoto. Insegnerà a tutta la città come si vive, come si ama, come si difende la dignità. La memoria più bella sarà questa: Cristo sulla croce, che domina da questa cattedrale. Egli non chiede vendetta, ma dona amore. La vendetta appartiene a chi porta armi in tasca. Voleva forse qualcosa quell’uomo, ma saranno le indagini a chiarire. Non sarà la vendetta la risposta. Guardando questa bara, noi troviamo nella giustizia e nella legalità la via per risolvere i problemi di Catania, delle nostre famiglie, del nostro mondo. La croce di Cristo, deposta sulla bara di Santo, sia deposta anche sui vostri cuori, per darvi speranza. L’amore è più forte della morte, della violenza, di ogni paura. L’amore di Cristo ci doni la speranza. Guardando questa bara nella giustizia e legalità noi risolveremo i problemi di Catania, delle nostre famiglie, del mondo intero. L’amore di Cristo ci doni speranza e uscendo da questa chiesa con la bara di Santo, portiamo la speranza nei nostri cuori.” Così ha concluso.
Poi, al termine della celebrazione, le parole toccanti e struggenti, equilibrate ma forti, della sorella di Santo Re:
“Scusa se non siamo riusciti a salvarti. Quel giorno quando sei rientrato in pasticceria sanguinante e hai chiesto aiuto…scusa non sono riuscita a salvarti. Oggi siamo con te, siamo dalla tua amata sant’Agata, con il tuo sacco, certi che ti accoglierà. Desideriamo ringraziare tutti i medici del Cannizzaro, le forze dell’ordine ma, a nome di Santo, chiediamo giustizia, certezza delle pene e azioni immediate. Ciao Santo, ti amiamo tutti quanti”.