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Cronaca

Etna, uno studio INGV rivela come migliorare la previsione delle eruzioni

Il tutto sarebbe possibile grazie all’analisi della relazione tra la quantità di terremoti di bassa e di alta magnitudo. Ricerca curata da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia 

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È stata pubblicata sulla rivista “Science Advances” la ricerca di uno studio che evidenzia come le previsioni delle eruzioni vulcaniche potrebbero essere migliorate grazie all’analisi della relazione tra la quantità di terremoti di bassa e di alta magnitudo. Ricerca curata da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Oggi i vulcani attivi in aree densamente popolate vengono monitorati attraverso osservazioni geologiche e dati geofisici e geochimici che forniscono informazioni sui movimenti del magma nella parte intermedia e superficiale della crosta terrestre, mentre le fasi di ricarica in profondità restano ancora poco conosciute. Questi dati consentono inoltre di avere informazioni sull’attività vulcanica limitate perlopiù al breve periodo.

“Studiare le variazioni nello spazio e nel tempo del cosiddetto b-value, un parametro sismologico che descrive quanto spesso si verificano i terremoti di bassa magnitudo rispetto a quelli più forti, può consentire di investigare i movimenti del magma dalla crosta profonda fino alla superficie” ha spiegato Marco Firetto Carlino, primo autore della ricerca.

Analizzando 20 anni di sismicità (2005-2024) registrata nell’area dell’Etna, gli autori sono riusciti a distinguere le diverse fasi della risalita del magma: dalla ricarica nella crosta profonda (fino a circa 30 km al di sotto del livello del mare), al trasferimento e accumulo a profondità intermedie, fino all’ascesa verso la superficie. I risultati mostrano, inoltre, che le variazioni di questo parametro potrebbero anticipare di mesi i segnali geochimici legati alla risalita del magma. “Questo perché i terremoti rivelano nell’immediato i movimenti del magma in profondità, mentre i gas, prima di essere rilevati in superficie, devono attraversare diversi chilometri della crosta terrestre” ha concluso Marco Firetto Carlino.

 

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