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Operazione “Meteora” Scarcerato Cristian Calvagno, il Gip tiene conto delle condizioni di salute

L’avvocato Giuseppe Lipera, difensore di Calvagno, aveva avanzato numerose richieste, sostenendo che l’indagato “soffre di una grave depressione ed è tormentato da un forte senso di colpa per la malattia del figlio minorenne”

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Il gip di Catania ha preso una decisione importante riguardo l’indagato Cristian Calvagno, imponendogli l’obbligo di dimora nel suo paese d’origine, Biancavilla, e l’obbligo di presentarsi periodicamente alla polizia giudiziaria. Questo provvedimento è arrivato dopo che Calvagno, arrestato nel novembre 2024 nell’ambito dell’operazione Meteora, era stato coinvolto in un’inchiesta su un’associazione mafiosa legata al clan Santangelo di Adrano e alla frangia del clan Mazzei. Il suo arresto aveva suscitato notevole attenzione, ma la sua condizione di salute ha avuto un ruolo cruciale nel provvedimento del giudice.

Calvagno, il 20 gennaio scorso, aveva tentato il suicidio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), dove è detenuto, assalito dai sensi di colpa per non poter accudire il figlio molto malato.

L’avvocato Giuseppe Lipera, difensore di Calvagno, aveva avanzato numerose richieste, sostenendo che la detenzione in carcere fosse incompatibile con la salute dell’indagato. In particolare, Lipera aveva sottolineato una situazione psicologica e fisica critica: Calvagno soffre di una grave depressione, è tormentato da un forte senso di colpa per la malattia del figlio minorenne, e ha perso notevoli chili, circa 15, che ne hanno peggiorato le condizioni fisiche.

Un aspetto centrale della decisione del gip Montoneri è stato che, nonostante i ripetuti solleciti, le informazioni sulle condizioni di salute di Calvagno non sono state adeguatamente fornite dal carcere di Santa Maria Capua Vetere e dal personale sanitario. Questo ha portato alla decisione di trasferire gli atti alla Procura di Santa Maria Capua Vetere e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) affinché vengano adottate misure appropriate, in particolare per quanto riguarda la gestione sanitaria dell’indagato e le responsabilità del direttore del carcere.

Il provvedimento dell’obbligo di dimora, pur tenendo conto della salute di Calvagno, non esclude il proseguimento delle indagini e l’eventuale evoluzione della situazione legale.

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Paternò, inchiesta “Athena”, depositate le motivazioni dell’annullamento domiciliari al sindaco Naso

“Riesame rimotivi su domiciliari del sindaco paternese” scrivono i giudici della Suprema Corte”

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Sono state depositate  le motivazioni  con cui i giudici della sesta sezione penale della Cassazione hanno annullato con rinvio la decisione del Tribunale del Riesame  di Catania che lo scorso  30 settembre  aveva accolto l’appello della procura di Catania e disposto gli domiciliari per il sindaco di Paternò Nino Naso coinvolto nell’inchiesta Athena per voto di scambio politico-mafioso.

“La generica e indeterminata promessa da parte dell’esponente politico ‘di interessarsi’ all’assunzione di lavoratori, direttamente evocata dal Tribunale in alcuni punti dell’ordinanza impugnata, non può integrare la promessa di altra utilità” scrivono i giudici della Cassazione. Sul  “momento dell’effettiva stipulazione del patto politico elettorale e al suo contenuto”, la suprema Corte ha evidenziato  come per il Tribunale etneo il patto “non si sarebbe formalizzato in un unico momento preciso, ma dall’aprile 2021 al giugno 2022″.

Sarebbero state riportate “intercettazioni ritenute indizianti”, ma senza una “compiuta definizione dell’accordo”. Secondo la Cassazione  il Tribunale del riesame “non ha motivato in ordine alle specifiche censure mosse dai difensori nelle memorie e non si sono confrontati con le dichiarazioni di Nino Naso nell’interrogatorio reso all’esito delle indagini preliminari”. Per la Suprema Corte “l’omessa valutazione di memorie difensive non determina la nullità, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della decisione”.

“Alla luce di questi rilievi – conclude la Corte di Cassazione – l’ordinanza impugnata deve essere annullata e deve essere disposto il rinvio per un nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Catania che dovrà nuovamente motivare sull’appello proposto dal Pubblico ministero, uniformandosi ai principi stabiliti da questa Suprema Corte”.

L’inchiesta antimafia “Athena” si basa su indagini dei carabinieri della compagnia di Paternò, coordinate dal procuratore aggiunto di Catania, Ignazio Fonzo, e sostituti Tiziana Laudani e Alessandra Tasciotti, e avrebbe fatto emergere gli interessi del clan Morabito sulle aste giudiziarie di immobili nelle province di Catania e Siracusa e un presunto voto di scambio.

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Catania, uccise la figlia di 5 anni, aperto processo d’appello nei confronti di Martina Patti

I suoi legali hanno annunciato che la donna, che oggi era collegata in video conferenza, vorrebbe fare delle dichiarazioni spontanee

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A Catania dinanzi alla Corte d’assise d’appello ha avuto inizio il processo di secondo grado a Martina Patti, la 26enne che il 12 luglio del 2024 è stata condannata a 30 anni per l’omicidio della figlia Elena, di quasi 5 anni, uccisa con un’arma da taglio nel giugno 2022 e seppellita in un campo vicino casa, a Mascalucia.

I suoi legali, gli avvocati Tommaso Tamburino e Gabriele Celesti, hanno annunciato che la donna, che oggi era collegata in video conferenza, vorrebbe fare delle dichiarazioni spontanee. La Corte ha disposto il suo trasferimento in aula per la prossima udienza, fissata per il 14 maggio.

I nonni paterni e il padre della piccola vittima si sono costituti parte civile con l’avvocato Barbara Ronsivalle. Martina Patti è imputata per omicidio premeditato aggravato, occultamento di cadavere e simulazione di reato. Il processo è stato incardinato su indagini dei carabinieri del comando provinciale di Catania. La donna avrebbe ucciso la piccola nel luogo del ritrovamento, un campo abbandonato vicino casa, e poi avrebbe finto il sequestro della bambina all’uscita dall’asilo. Martina Patti ha confessato il delitto, ma non ne ha spiegato il movente. La sera prima di essere uccisa, la bambina aveva dormito dai nonni.

La mattina dopo la zia l’ha accompagnata all’asilo e la madre è andata a riprenderla ed è tornata a casa, a Mascalucia. Successivamente, contesta l’accusa, Martina Patti è uscita nuovamente con l’auto, per creare un diversivo, quindi è ritornata nell’abitazione.

E’ in quel lasso di tempo che sarebbe stato commesso il delitto, in un terreno abbandonato dove la madre ha seppellito il corpicino, nascosto in cinque sacchi di plastica nera e semi sotterrato con una pala e un piccone.

A quel punto la 26enne ha fatto scattare la messa in scena: ha avvisato per telefono del falso sequestro i genitori e il padre di Elena, il suo ex compagno Alessandro Del Pozzo, è tornata a casa e dopo, accompagnata dalla madre e dal padre, è andata dai carabinieri a denunciare il falso rapimento.

Ai militari dell’Arma ha associato il sequestro ad alcune minacce che nel 2021 l’ex convivente aveva trovato davanti al cancello di casa, ma la sua versione non ha retto ai riscontri e alle indagini dei carabinieri e alle contestazioni mosse dalla Procura di Catania.

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