Sono consapevole che la storia che vi sto per raccontare è molto datata rispetto alla mia età odierna, quindi potrei dire di non ricordare o di non aver saputo apprezzare i fatti perché ero un fanciullo che ovviamente giocava come tutti i ragazzini. Invece, vi garantisco che io ero perfettamente consapevole di tale vicenda, che ho vissuto con molto interesse e trasporto emozionale, complice anche la passione che mi trasmetteva mio padre. Parlare di un personaggio del calibro di Enrico Berlinguer mi spinge a ricordare una politica fatta di autentici principi e ben dettagliata nella diversità fra le due parti, destra e sinistra, nonché precisa negli obiettivi che si proponeva.
Enrico Berlinguer io l’ho conosciuto in Piazza Università a Catania qualche tempo prima della sua scomparsa, avvenuta il 7 giugno 1984 per i postumi di un malore che lo colse sul palco mentre teneva un comizio nella città di Padova. Ricordo, e con orgoglio, che eravamo un tappeto di bandiere rosse e soprattutto e che si respirava un’aria di unità intorno a quest’uomo dalla voce decisa e molto gentile verso tutti, specialmente di fronte agli avversari.
Brevemente ricordo che il segretario Berlinguer fu l’artefice dell’accordo fra lui, segretario del Partito Comunista Italiano, e Aldo Moro, segretario della Democrazia Cristiana, passato alla storia come “compromesso storico”. Fra l’altro, Berlinguer e Giorgio Almirante, segretario del Movimento Nazionale Italiano Destra Nazionale, dialogavano sempre: erano rivali, ma profondamente rispettosi l’uno dell’altro, saldamente fedeli al loro credo politico, che ognuno professava con vigore. Un esempio su tutti: quando venne a mancare Enrico Berlinguer, Almirante disse: “Voglio salutare il mio amico”, come se avessero ideali uguali, invece i due avevano pensieri opposti.
Torniamo a Berlinguer. Da molto tempo, ancor prima del comizio di Catania, seguivo in televisione e in radio i suoi discorsi, le tribune elettorali nelle quali dibatteva questo grande uomo. Le sue parole mi erano sempre più entrate nel cuore perché per me la bandiera rossa racchiusa dentro alla falce e al martello rappresentava, e rappresenta ancora oggi, il simbolo essenziale per l’evoluzione di un popolo civile. Amo parecchio la falce e il martello in quanto mi riconducono all’ideale del lavoro, senza il quale l’essere umano non può considerarsi libero e capace di poter progettare un futuro che sia equilibrato con la propria esigenza economica.
Tutto questo lo respiravo in un contesto in cui si parlava del Partito Comunista Italiano: in famiglia, tra amici e soprattutto in sezione, luogo dove mio padre mi portava spesso nei suoi pochissimi scampoli di tempo libero e io lo seguivo ben volentieri perché per me diventava come un gioco, un gioco però che era molto istruttivo in quanto mi dava la possibilità di arricchire la mia mente non solo con le macchinine o con i robot, ma anche con le cose concrete che poi ho ritrovato in età giovanile e che custodisco anche adesso che sono un adulto.
Ho imparato, ad esempio, l’importanza di andare a votare in modo consapevole e scevro dalle influenze altrui, ovvero convinto di quella “X” che pongo sulla scheda elettorale. Tutto questo sono riuscito a capirlo frequentando la sezione del Partito Comunista Italiano e avendo presente il mio modello di ispirazione, Enrico Berlinguer. In quella sezione del mio paese ho poi assistito in diretta televisiva ai funerali, da Piazza San Giovanni a Roma, del mio caro compagno Enrico Berlinguer.
Quel giorno il quotidiano l’Unità titolò “Addio” mentre la bandiera rossa venne esposta a mezz’asta in sezione. Capii che una bella stagione era definitivamente giunta al termine e capii anche, anzi ebbi la conferma, che il nostro Partito Comunista Italiano era finito. Per me era sempre stata una baggianata la descrizione di un PCI a favore di guerre e dittature e la conferma era data da quanto inquadravano le telecamere nel corso dei funerali: insieme alle bandiere rosse c’erano tante bandiere della pace che testimoniavano l’impegno del partito di Berlinguer a favore del disarmo come le tante manifestazioni a Comiso contro gli euromissili nucleari. È proprio questo a fare la differenza tra quelli che eravamo e restiamo comunisti e quelli che, poi, hanno cercato di dare un prosieguo politico ai vari pezzi del PCI, alcuni cancellando falce e martello e la bandiera rossa.
La cosa certa è che oggi, esattamente quarant’anni dopo, non c’è nessuno all’altezza di un politico come Enrico Berlinguer, come Giorgio Almirante o come Giorgio La Malfa, segretario del Partito Repubblicano Italiano, politici che “indossavano” la propria appartenenza a un partito e ai suoi elettori ponendoci al centro della questione civile e sociale del nostro Belpaese. Io sono comunista e lo sono in quasi tutte le mie azioni in un Paese che, a quarant’anni di distanza da quel 1984 così cruciale per la politica italiana, sembra aver perso la sua passione per gli ideali.