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Cultura

Fino all’ultima goccia di cuore (L’altra faccia della luna), incontriamo Antonella Sturiale

Risorgere è un lungo percorso che si intraprende lavorando “martello e scalpello” come un sapiente scultore con la propria personalità

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Siamo assieme ad  Antonella Sturiale,  drammaturga,  poetessa e saggista per discutere del suo romanzo autobiografico sul narcisismo patologico maschile dal titolo “Fino all’ultima goccia di cuore –  l’altra faccia della Luna”. Ci piace parlare con lei perché il suo saggio è l’esperienza di una donna in età adulta ed è questo un libro scritto in chiave ironica: due ingredienti interessanti che spingono a rivolgerle qualche domanda e ai lettori del lavoro a restare sul libro. Questo racconto esperienziale merita la particolare attenzione del pubblico giovane in quanto la scrittrice fornisce mirati spunti su come riuscire a venirne a capo della vicenda drammatica.

Cosa è per lei l’innamoramento e poi l’ingenuità e come le ha vissute?

L’innamoramento per me è uno stato di grazia unico o,  per lo meno,  unico per ogni amore vissuto.  E’  quella sospensione tra terra e cielo che ci fa sognare.  L’ingenuità è quella caduta dal cielo,  rovinosa e dolorosissima,  quella consapevolezza della tua massima fragilità. L’innamoramento l’ho vissuto come fonte di benedizione ed emozione,  la mia ingenuità è sempre una ferita che si rinnova di esperienza in esperienza.  E’ come un marchio indelebile che non puoi cancellare con nessuna cosa al mondo.

Come si risorge dalle cicatrici dopo che un “maschio”  l’ha fatta morire dentro?

Non è facile risorgere dalle cicatrici profonde che ha lasciato un esemplare di maschio erectus,  ci vuole una forza da titani.  L’importante è prendere coscienza del proprio valore,  sapere bene ciò che ci portiamo dentro,  il bagaglio culturale e familiare,  l’autostima che non deve mai mancare affinché non cadiamo mai nelle grinfie di manipolatori consci o inconsci. Comunque risorgere è un lungo percorso che si intraprende lavorando “martello e scalpello” come un sapiente scultore con la propria personalità. E’ modellarsi e automodellarsi,  corazzarsi della pienezza di sè.

Perché voi donne siete sempre in competizione anziché essere solidali?

Non so esattamente quale sia il motivo per il quale noi donne entriamo in competizione tra di noi.  Probabilmente è un fatto insito in noi; trascorriamo una vita a curarci per sembrare belle ma in realtà celiamo dietro questa corsa alla beltà carenze emotive che sono pozzi senza fondo.  Ci mettiamo a confronto sempre: infatti gli uomini guardano le donne,  e le donne guardano le donne.  Sembra un paradosso ma noi siamo sempre a rincorrere la perfezione (che non esiste).  E’ un fatto quasi storico legato ad un mondo maschilista che ci vuole belle,  magre,  operose.  E noi li assecondiamo perfettamente competendo l’una con l’altra.

Sturiale,  cos’è per lei la vergogna e di cosa ci si dovrebbe vergognare?

La vergogna è contravvenire ai propri ideali,  ai valori in cui si crede.  Ci si dovrebbe vergognare per la mancanza di empatia,  per l’assenza di fratellanza,  per la disumanità e la cattiveria.  Ci si dovrebbe vergognare immensamente quando,  per sollazzo,  si gioca con i sentimenti degli altri.

In “Fino all’ultima goccia di cuore –  l’altra faccia della Luna”,  sottolinea spesso che è del segno del Leone: cosa vorrebbe rubare a questa bestia?

Del Leone vorrei la sua flemmatica e felpata camminata,  la sua predisposizione al riposo,  cosa che mi manca del tutto poiché sono elettricità pura.  Vorrei la sua caparbietà,  la fierezza indomabile.  Di lui ho soltanto un grande ed indomito coraggio. Aggiungo che  del segno del leone è mio figlio ed di lui sono orgogliosissima.

Nel saggio in questione lei sa che “lui”  ha altre donne,  come la gestisce nell’oggi?

Oggi sono finalmente guarita,  lo posso affermare con certezza perché,  sapere che lui potrebbe avere un’ altra donna,  non mi fa alcun effetto.  Sono serena e felice di essere uscita dal tunnel.

In “Fino all’ultima goccia di cuore –  l’altra faccia della Luna”  lei ha incontrato una vittima del suo stesso carnefice: c’é qualcosa che non è riuscita a dirle?

Soltanto una parola: “salviamoci”!

Cosa significa” ti amo” per lei?  E il Narciso quando le diceva “ti amo”?

” Ti amo” è la massima dichiarazione d’amore,  significa “io amo te,  mi prenderò cura di te,  ti proteggerò,  sarai l’unica per me”.  Il narciso (scritto minuscolo)  me lo diceva all’inizio del corteggiamento quando doveva assicurarsi l’energia e la dipendenza della sua nuova vittima sacrificale.  Una volta che la vittima cade nella sua rete,  il “ti amo”  viene abolito lasciando il posto al “ti voglio bene”  considerato da lui molto più importante.  Cosa che così non è.

Nel suo romanzo breve,  lui le diceva spesso  di non diffondere le fotografie.  Cosa ha pensato?

A quel tempo credevo che lo facesse perché non voleva avere problemi con la figlia che,  a dir suo,  era molto gelosa di lui.  Poi ho capito che non era questione di “figlie gelose”  ma di “concubine ignare”.  Ben lo sanno i miei neuroni che si erano suicidati per la  vergogna che provavano a posto mio. Non lo capivo.

Ci può spiegare quale differenza c’è fra il possesso e l’amore?

L’amore è libertà,  essere due entità diverse con i propri spazi che bisogna rispettare reciprocamente.  Il possesso è una malattia,  è il considerare il partner come un oggetto privato,  intoccabile da altri,  un giocattolo telecomandato senza anima e possibilità di esprimersi.

Voi donne,  quando il vostro uomo fa i complimenti alle altre,  cosa pensate?

Ci mettiamo in discussione,  cominciamo a sentirci le più brutte della terra.  Questo capita alle donne con “dipendenza”  qual ero io.  Le donne “indipendenti” pensano che sia di cattivo gusto fare apprezzamenti alle altre in presenza di loro.  La terza categoria,  le donne con personalità e sicure di sè,  pensano che sia normale e normalmente si vendicano subito facendo apprezzamenti sul primo uomo che passa.

A cosa pensa una donna quando il suo uomo le parla delle esperienze sessuali avute con altre donne, come purtroppo è accaduto a lei?

Si sente umiliata.  Ascoltare quelle parole spesso volgari di apprezzamenti di parti del corpo intime femminili,  danno un senso di inadeguatezza e sconforto.  Intristiscono anima e cuore.

Antonella,  lei più di una volta cita nel suo romanzo,  Dio.  Quante volte la ha aiutata la fede?

La fede mi ha salvato la vita.  Senza Dio io non sarei nessuno invece con Lui mi sento protetta: Dio è le mie ali per volare lontano.  Lui mi ha aiutato miriade di volte: una riprova è che sono qui,  serena,  a raccontare la mia vicenda con una tranquillità che soltanto la certezza della fede può dare.

Antonella,  come sta ora?

Sono libera,  consapevole,  serena ed ho tanta voglia di trasmettere al mondo un messaggio importante: “Non annullatevi per niente e nessuno.  Voi siete preziosi.  Amatevi più di ogni altra cosa.  Date e pretendete rispetto: l’amore senza rispetto non è niente.  E al niente non si deve dare alcuna importanza.  Scappate dagli amori malati.  Sappiate discernere.  Sempre”.

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Belpasso, “Giornata mondiale del rifugiato, il comune aderisce all’iniziativa

Inaugurata per tale circostanza una panchina dedicata ai rifugiati che si trova nel parco comunale antistante il Palazzo di città.

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Anche Belpasso ha celebrato ieri la “Giornata mondiale del Rifugiato”. Una data istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “proprio per farci riflettere sui principi fondamentali che tutelano chi è costretto a fuggire dalla propria terra in cerca di un futuro migliore” dicono dal comune. Per tale ragione la città di Belpasso si è unita alla giornata mondiale de rifugiato nel nome dell’inclusione e della speranza inaugurando una panchina dedicata ai rifugiati che si trova nel parco comunale antistante il Palazzo di città.

“Non è una panchina qualunque, ma un vero simbolo di speranza e accoglienza che ci ricorda la necessità che ogni “straniero” si senta parte di questo paese, che si senta a casa nel territorio che lo sta ospitando- hanno specificato dall’ente comunale-  E’ un invito a non sottovalutare mai l’opportunità legittima che tutti possono rinascere e costruire una nuova vita, anche lontano dalla propria terra e dalle guerre.

Ringraziamo la Cooperativa Iride per la sensibilità di questa iniziativa” Presenti all’iniziativa gli assessori Tony Di Mauro e Maria Grazia Motta

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Cultura

Catania, il murale “Déjà-vu” di Ligama sulla circonvallazione della città

“Ho voluto rappresentare – ha spiegato l’artista – un’immagine familiare e allo stesso tempo destabilizzante: un ‘déjà-vu’. Un incontro con sé stessi, un gesto di cura in mezzo al caos urbano”

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È il verde, simbolo di natura, cura e rigenerazione, a dominare il nuovo eco-murales realizzato alla circonvallazione di Catania dall’artista Ligama.

L’opera, donata da Covei, storica concessionaria Volvo, in occasione dei quarant’anni di attività dell’azienda, è stata ufficialmente consegnata nella giornata di ieri alla città dall’Amministratore Delegato di Covei, Salvatore Gangi, alla presenza dell’Assessore alle Politiche Comunitarie Sergio Parisi e del docente dell’Accademia di Belle arti di Catania Salvatore Lo Giudice.

“Déjà-vu” si estende su una superficie di 150 metri quadri, dipinta su una parete ad alto scorrimento. L’opera è stata realizzata utilizzando colori al quarzo base acqua e innovativi colori fotocatalitici Airlite, rispettando i principi dell’economia circolare in tutte le fasi del suo ciclo di vita. Un progetto che unisce arte e sostenibilità, trasformando un angolo urbano, ad alto traffico, in uno spazio di riflessione e bellezza condivisa.

Il murales di Ligama per Covei è nato come un cantiere a cielo aperto, accessibile e visibile alla cittadinanza fin dal primo giorno. Una partecipazione condivisa anche dall’Assessore all’Ambiente, Ecologia e Verde Pubblico, Massimo Pesce, che nei giorni scorsi ha voluto essere presente di persona al cantiere.

Studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Catania, guidate dai docenti Daniela Costa, Salvatore Lo Giudice e Giuseppe Puglisi, hanno affiancato Ligama nella realizzazione, partecipando attivamente a ogni fase. Al centro del murales, due figure femminili si osservano in silenzio, immerse in una rigogliosa vegetazione e illuminate dalla calda luce del tramonto. Una porge all’altra dei garofani bianchi e rosa: un gesto semplice ma intenso, che evoca gentilezza, cura, dialogo e riconoscimento reciproco.

La figura dai capelli dorati e carnagione chiara richiama Sant’Agata, patrona della città, simbolo di forza e devozione. Il titolo “Déjà-vu” evoca la sensazione di aver già vissuto quella scena, un riconoscimento imperfetto che richiama la natura ripetitiva e automatica della vita contemporanea. In questo contesto frenetico, l’opera si impone silenziosa e decisa tra il traffico, catturando per un attimo l’attenzione di chi passa e stimolando una riflessione profonda.

“Ho voluto rappresentare – ha spiegato Ligama – un’immagine familiare e allo stesso tempo destabilizzante: un ‘déjà-vu’. Un incontro con sé stessi, un gesto di cura in mezzo al caos urbano. L’opera invita alla consapevolezza, a rallentare e guardare davvero. Mi sono ispirato alla suggestione pittorica de ‘La riproduzione vietata’ di Magritte, per la sua forza visiva e concettuale”.

 

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