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Storie

Cani allerta possono salvare la vita dei diabetici grazie al loro fiuto infallibile

Il dog trainer, Alfio Ingiulla, spiega l’addestramento che consente al miglior amico dell’uomo di combattere il diabete

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Grazie al loro fiuto infallibile, allo loro sensibilità e alla loro capacità d’osservazione, possono segnalare al diabetico, quando la sua glicemia non è in regola e addirittura possono fare anche di più. Stiamo parlando dei cani “allerta diabete”, che svolgono una vera e propria missione, ovvero quella di salvare la vita dei loro padroni. Abbaiando o leccando la mano, questi animali sono in grado di riconoscere e segnalare i picchi come i cali glicemici, permettendo al soggetto diabetico di riequilibrarsi immediatamente. Tra le due figure si crea un legame profondissimo, che va oltre il ruolo di una semplice guida o supporto.

Da qualche anno l’addestramento dei cani d’allerta per diabetici avviene anche nel nostro territorio etneo,  sotto la guida del dog trainer, Alfio Ingiulla, responsabile regionale per la Sicilia del “Progetto Serena”, portato avanti da una onlus di Verona. Tale progetto, curato Roberto Zampieri, si occupa della formazione e dell’educazione dei cani molecolari, lavorando a fianco di molti ospedali e di diversi medici, su tutto il territorio nazionale.     

 Ingiulla, giovane istruttore licodiese, del centro cinofilo “Il Capo Branco” di Biancavilla, spiega brevemente come il migliore amico dell’uomo riconosce ipo e iperglicemie e ti salva la vita. «La chiave sta nel finissimo senso dell’olfatto posseduto dagli amici a quattro zampe. Quando una persona sta per subire una variazione glicemica emette una serie di molecole che il cane, dopo un’apposita e lunga preparazione, recepisce in maniera infallibile. A quel punto abbaia o dà un segnale di allerta, che può variare, da una zampata alla leccata di una mano, così che il diabetico può correggersi, magari con una bustina di zucchero, un succo di frutta o nel caso opposto con la puntura di insulina. In altri casi l’animale trasmette la richiesta d’aiuto ad altre persone. Si sta lavorando anche all’attivazione di dispositivi d’allarme da far azionare al bisogno.  L’intervento dei cani diviene vitale, durante la notte, soprattutto per i bambini, che meno degli adulti riescono a percepire nel sonno i sintomi delle crisi glicemiche, rischiando nella peggiore delle ipotesi anche il coma. “Progetto Serena” rappresenta in poche parole un’ottima opportunità per coloro che hanno la malattia metabolica e amano gli animali».

La preparazione del cane richiede un tempo di 24 mesi, per instaurare il giusto rapporto con il padrone. Non si consegnano cani già addestrati, bensì si lavora a stretto contatto con la persona stessa da quando il cane è cucciolo in modo da stabilire un’importante alchimia basata sull’empatia. L’obiettivo che “Progetto Serena Onlus” si prefigge è quello di riuscire a far avere a tutti coloro che convivono con questa malattia cronica un cane allerta, senza che il diabetico sia costretto a sostenere i costi proibitivi imposti in questo momento dalle pochissime realtà esistenti sul territorio italiano. Tutte le razze (basta che abbiano un’indole tranquilla, che non siano aggressivi) possono essere ammesse al protocollo, – unico e originale, scritto da zero e sperimentato sul campo dal direttore cinofilo Zampieri -, che consente all’animale attraverso il gioco e la relazione, senza nessun tipo condizionamento o imposizione  di entrare a far parte del contesto familiare e di apprendere il ruolo salvavita.

Si dice spesso che il cane sia il migliore amico dell’uomo. Ma in questo caso viene da pensare, che sia davvero troppo riduttivo. Sempre più spesso salvano vite in molti campi. E ora aiutano a combattere quotidianamente anche quel fastidioso mostro chiamato diabete

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Chiesa

Paternò, Venerdì Santo: il mistero dell’acqua dai gradini dell’altare di “Cristo al Monte”

Ogni Venerdì Santo dai gradini trasudano gocce d’acqua e decine di fedeli si recano in preghiera

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Nella straordinaria e suggestiva atmosfera che avvolge la Settimana Santa a Paternò, emergono tradizioni affascinanti e misteriose, spesso intrecciate con il secolare e ancora attuale confronto tra fede e scienza.Una di queste, poco conosciuta ai più, ruota attorno a uno dei gioielli artistico-culturali più preziosi del territorio, recentemente tornato sotto i riflettori con rinnovato interesse: la chiesa di “Cristo al Monte”. Si tratta di una struttura risalente al XVI secolo, che impreziosisce la storica collina gestita dall’Arciconfraternita dei Bianchi.

Si racconta che, nel giorno non sempre fisso del Venerdì Santo, dai gradini dell’altare maggiore trasudi dell’acqua: un evento prodigioso che, ogni anno, attira decine e decine di fedeli i quali muniti di un fazzoletto bianco, aggiungono la chiesa per raccogliere le preziose gocce e lasciare una preghiera, proprio mentre il fercolo del Cristo Morto giunge sulla collina storica, nel primo pomeriggio, in attesa della suggestiva e toccante processione al calar del sole.

Diverse sono le ipotesi e le suggestioni che nel tempo hanno cercato di spiegare l’accaduto. Molti collegano l’evento alla secolare devozione della città verso il Cristo alla Colonna, una statua che un tempo era custodita proprio nella chiesa di Cristo al Monte, nella nicchia dell’altare maggiore, prima di essere trasferita per ragioni di sicurezza nella chiesa dell’ex Monastero.

Un tempo, si credeva che il Cristo alla Colonna potesse propiziare la pioggia in periodi di siccità e carestia. In tali occasioni, la statua veniva portata in processione e si racconta che, puntualmente, al termine del rito la pioggia iniziasse a cadere e baciare i campi. Da qui, il legame con le gocce d’acqua che trasuderebbero ogni anno dai gradini dell’altare.

L’Arciconfraternita dei Bianchi, nata con l’intento di assistere i più deboli e i condannati a morte, custodisce anche un’antica leggenda. Si narra che i condannati avessero un’unica possibilità di ottenere la libertà: uscire dalla chiesa, raggiungere e toccare gli obelischi posti all’esterno senza essere colpiti dalle frecce e fare ritorno all’interno. Solo in quel caso avrebbero ottenuto la salvezza.Si dice che nessuno sia mai riuscito nell’impresa, eccetto un uomo che, pur riuscendo a rientrare, fu colpito da una freccia proprio prima di raggiungere l’altare, morendo dissanguato sui suoi gradini. Proprio nel luogo in cui, ancora oggi, si verifica il misterioso evento del Venerdì Santo.

Si tratta solo di leggende, nate da coincidenze e racconti popolari? Fatto sta che, puntualmente, ogni anno, ed anche quest’anno, l’evento si ripresenta, attirando fedeli e curiosi, riaccendendo il dibattito sul secolare dualismo tra fede e ragione. Un contrasto che potrebbe forse trovare una nuova armonia, partendo dalla consapevolezza che esistono domande a cui, ancora oggi, la scienza non ha saputo dare risposta.
Accettare il trascendente, se si ha fede, non significa entrare in contraddizione con la dimensione concreta della vita quotidiana.

Anche quest’anno, in occasione della traslazione del Cristo Morto, ieri pomeriggio decine di persone si sono radunate per verificare se i gradini dell’altare maggiore fossero bagnati, alla ricerca di quelle misteriose gocce d’acqua. L’evento, come ci ha confermato Giovambattista Iurato, sì, si è verificato,  ma non ieri, bensì lo scorso 2 aprile, proprio nel giorno in cui la collina storica è stata teatro di un atto sconcertante: due delle tre croci poste sul sagrato della chiesa sono state divelte, lanciate giù e ritrovate semidistrutte ai piedi della scalinata settecentesca.

Una coincidenza? Forse. Ma è accaduto. E così, ancora una volta, il solito dilemma: nessuno può dare risposte certe. Tuttavia, resta significativo che il prodigioso evento si sia verificato proprio in quel contesto.

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Eventi

Paternò: Giuseppe Parisi in scena con “Veramente quest’uomo…”

La forza della tradizione: due fratelli e un messaggio di fede per Paternò

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Giuseppe Parisi, giovane attore teatrale paternese, sta conquistando i migliori palcoscenici sia a livello regionale che nazionale, ieri sera, è tornato nella sua Paternò e lo ha fatto dinanzi ad un numerosissimo pubblico all’interno di quello che è considerato il cuore delle tradizioni legate alla Santa Pasqua paternese: la chiesa di Santa Margherita. Fortemente legato alle sue radici, Giuseppe, 25 anni, ha donato negli anni alla sua città momenti di grande intensità teatrale, con testi da lui stesso scritti e interpretati ed ha saputo toccare il cuore del pubblico, offrendo spettacoli ricchi di emozione e significato.  E ieri sera, in un clima di raccoglimento profondo,  è andato in scena, dopo alcuni anni dal suo debutto,  “Veramente quest’uomo…”, un testo di grande spessore e sorprendente attualità.

Il racconto, incentrato su temi universali, amore e conversione, ripercorre la Passione di Cristo attraverso lo sguardo di un centurione romano, Marco Antonio Scipione. Giuseppe incarna la figura dell’uomo che, di fronte al dramma della croce, riconosce la presenza di Dio. È il punto di vista di chi ha condannato e ucciso il Nazareno, ma che, sopraffatto dalla verità e dal dolore, si ravvede.

Il testo, denso di pathos, si conclude, con un fortissimi momento catartico, il risveglio dal torpore del peccato, la presa di coscienza, la risalita dal buio, sino a quella “mirabile visione”: il riconoscimento in quel corpo crocefisso, dell’amore di Dio. In una toccante epistola indirizzata a un amico, il centurione confessa di credere che Gesù sia realmente il Figlio di Dio:
«Dio è amore, e il segno più grande di questo amore è suo Figlio, che non ha avuto disprezzo per me, che l’ho ucciso. Con gli occhi gonfi di lacrime caddi a terra e gridai: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio».

“Volevamo lanciare un messaggio che non fosse soltanto culturale, ma anche di vita – ha dichiarato Alfio Parisi, che affianca il fratello Giuseppe nell’organizzazione di questi eventi. Tutti noi, come il centurione romano, possiamo convertirci all’amore, alla gioia, alla fraternità. Possiamo vivere la nostra città con uno spirito di appartenenza profondo alle nostre radici e alle nostre tradizioni.  Questo è il cuore pulsante di ciò che facciamo. Iniziare la Settimana Santa da qui, da questo luogo, per noi, è un grande onore, ma è anche un impegno: quello di mantenere viva la nostra devozione alla luce degli incresciosi atti che ci hanno colpito ed hanno colpito la nostra città”.

Questi eventi, come quello di ieri, riproposto a distanza di anni, rappresentano preziosi doni offerti alla comunità con generosità da giovani che credono ancora nel valore delle tradizioni e nella bellezza della loro città, Paternò. Una città da cui tanti giovani fuggono e che oggi versa in condizioni di grave degrado morale e sociale. Eppure, è una città che custodisce un patrimonio immenso di storia e spiritualità che bisogna tramandare, che bisogna custodire.

Negli ultimi tempi, Paternò è stata scossa da atti sacrileghi. L’ultimo episodio, in ordine cronologico, ha visto la croce collocata sulla storica collina divelta e gettata a terra: un gesto che ha profondamente colpito la comunità, costringendola a riflettere sul disagio e sulla degenerazione morale in atto.

Ma Giuseppe e Alfio non ci stanno. E con loro, non ci sta la comunità paternese, che ieri ha visto due giovani continuare a credere, a sperare, a resistere etentare di costruire una Paternò migliore. Grande la partecipazione dei cittadini accorsi per assistere a questo momento di grande profondità. Una chiesa gremita e attenta alle parole di Giuseppe, del centurione romano, parole intrise di speranza e di grande umanità. Tra le ultime partecipazioni di Giuseppe Parisi, giovane talento notato da grandi maestri del teatro,  ricordiamo “Pensaci, Giacomino” con il maestro Pippo Pattavina e la regia di Guglielmo Ferro, spettacolo che lo ha portato in tournée in tutta Italia.

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