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Catania, Sant’Agata e “a festa do quattru”: il giro esterno

Una festa non stop con tappe che si susseguono senza soluzione di continuità: la processione del 4, iniziata stamattina, continuerà per tutta la notte con il rientro in cattedrale previsto per domattina.

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Foto FB "Catania dà spettacolo"

Al grido di “Semu tutti divoti tutti”, questa mattina il fercolo contenente il busto reliquiario di S. Agata, dopo la cerimonia dell’aurora, è uscito dalla Cattedrale per essere “consegnato” al suo popolo in festa: migliaia di catanesi col tipico sacco bianco che inneggiano alla loro Patrona sventolando fazzoletti bianchi. E’ un momento assai sentito dalla comunità etnea questo: il fercolo, così come lo scrigno, contiene le reliquie, il corpo della santa, non una sola reliquia ma l’intero corpo, tranne una mammella che è rimasta a Costantinopoli. Al riguardo, la leggenda racconta che il corpo della santa venne trasportato da Costantinopoli a Catania, (dove era stata sottoposta al martirio nel 251 d.C.) ad opera di devoti che rubarono i resti e li nascosero in un sacco; fermati però da alcuni soldati, prima della partenza, quei devoti raccontarono che il sacco conteneva solo dei petali di rosa, in effetti nel sacco si trovarono solo dei semplici petali, uno dei quali volò sulla bocca di un bambino che perciò smise subito di piangere… quel petalo volato in aria era la mammella di sant’Agata che quindi rimase a Costantinopoli.  Un tempo, a mettere il sacco erano solo gli uomini poiché, spiega ancora la leggenda, quando quei devoti che avevano trafugato le spoglie della santa arrivarono in nottata da Costantinopoli a Catania, lo scampanio prorompente che si liberò dalle chiese fece affacciare da finestre e balconi gli uomini della città che indossavano appunto le camicie da notte, ecco dunque spiegata l’origine del sacco bianco.

Ma, tornando alle tappe dei festeggiamenti, quello di oggi è stato il giorno in cui la Santa percorre il cosiddetto giro esterno: da piazza duomo, il busto reliquiario “esce” dalla città oltrepassando la famosa Porta Uzeda, prima sosta presso l’edicola votiva, conosciuta come Fontanella di S. Agata, con l’offerta della cera, quindi si procede verso gli archi della marina e da lì, i devoti hanno accompagnato il fercolo attraverso piazza Carlo Alberto per poi arrivare in piazza Stesicoro. Uno dei momenti più sentiti della giornata è la salita dei Cappuccini. Qui la santa ripercorre i luoghi del suo martirio, dalla chiesa di San Biagio (detta anche alla Fornace), alla chiesa di S. Agata al Carcere, fino a giungere alla Chiesa di S. Agata La Vetere (primo luogo di sepoltura della patrona) dove si celebrano i vespri.

La processione del fercolo di S. Agata  prosegue, in serata, nelle strade dei quartieri popolari:  via Plebiscito fino a raggiungere via Garibaldi, piazza Risorgimento, ed infine piazza Palestro (e il Fortino) dove un colorato spettacolo pirotecnico saluterà il passaggio della Santa Patrona. E’ la volta delle tappe che si svolgono in nottata: il fercolo di Sant’Agata si addentra nei quartieri popolari di S. Cristoforo e Angeli Custodi per concludere il suo giro esterno con la tradizionale “Calata della Marina” – la discesa che da via Plebiscito riporta al Porto. Ma prima di rientrare in cattedrale, il fercolo e le candelore devono superare un ultimo ostacolo, oltrepassare gli archi della Marina. Sotto lo sguardo attento di devoti e cittadini, si eseguono le delicate manovre per passare indenni sotto l’arco troppo basso.  Si conclude così il giro esterno di S. Agata, con il suo rientro in Cattedrale in piena mattinata.

Domani sarà l’ultimo giorno dei festeggiamenti, l’ultimo giorno di quello che è indubitabilmente un maestoso evento di spiritualità, arte, storia, costume e tradizione che mette insieme ogni categoria sociale in un’unica grande festa, dicono al riguardo i catanesi DOC: “u quattru è de’ viddani, u cincu de’ cittadini!” 

 

 

 

 

 

Associazionismo

Paternò, l’ANPI ricorda Mohamed, vittima del capolarato, la città “no”

La commemorazione ieri pomeriggio, per ricordare ad un anno dal suo omicidio il 27enne cittadino marocchino ucciso dal suo “caporale”, perchè aveva chiesto di essere retribuito per il suo lavoro svolto nelle campagne

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La città di Paternò sembra già di aver dimenticato eppure è trascorso solo un anno. Nella commemorazione di ieri pomeriggio, in via Verga, per ricordare ad un anno dal suo omicidio Mohamed Mouna, il 27enne cittadino marocchino ucciso a coltellate in via Giovanni Verga dal suo “caporale”, peraltro connazionale, solo perché aveva chiesto a quest’ultimo di essere retribuito per il suo lavoro svolto nelle campagne, erano presenti circa 35 persone.

I componenti dell’A.N.P.I. sezione “Carmelo Mio” di Paternò (l’associazione che ha organizzato la commemorazione) il sindaco Nino Naso e un assessore, la FLAI CGIL rappresentata dal suo segretario provinciale Pippo Glorioso, i componenti dell’ANPAS, i rappresentanti del gruppo politico “Voce” e dell’associazione “Penelope” nonche un gruppo di studenti. Nessun altro. Ci si chiede dove erano i rappresentanti delle altre associazioni del terzo settore, i partiti politici nonche i consiglieri comunali?  Nei mesi seguenti all’omicidio la comunità paternese decise di dedicargli una targa “a testimonianza che non si può rimanere indifferenti davanti all’ingiustizia e allo sfruttamento disumano del lavoro- hanno scritto sui social  i componenti dell’A.N.P.I.- Quella di ieri era una commemorazione per non dimenticare che ogni essere umano ha diritto a condurre una vita dignitosa e libera dallo sfruttamento”.

Andrea Maione dell’ANPI ha ricordato come “Mohamed Mouna fosse un lavoratore stagionale e che viveva in condizioni disumane. E’ stato ucciso perchè chiedeva di esser pagato quel poco nonostante il lavoro durissimo nelle campagne. Deve essere un monito per tutti. La nostra è una Repubblica fondata sul lavoro e quest’ultimo riguarda tutti non solo italiani ma anche stranieri. La necessità è quella di garantire il diritto al lavoro per tutti”.

Il sindaco di Paternò Nino Naso ha specificato che la sua presenza alla commemorazione non è stato “solo un momento formale ma anche sostanziale. Ne sono una testimonianza la nostra partecipazione a tutti i tavoli organizzati dalle associazioni contro il caporalato, abbiamo inviato tutte le richieste alla Regione e agli enti sovrastanti con cui c’è una continua interlocuzione per avere i finanziamenti necessari per sviluppare una civile convivenza e dare alloggi dignitosi ai lavoratori stranieri regolari. Noi siamo per l’inclusività e chi viene qua deve rispettare le regole”.

Per il sindaco Nino Naso la baraccopoli di Ciappe Bianche “è una indecenza. Abbiamo e continueremo a farlo con tutti gli enti per aver una sinergia comune . L’importante è che nessuno speculi dal punto di vista politico”.

Pippo Glorioso segretario provinciale della FLAI CGIL ha sostenuto che a “distanza di un anno i problemi non sono stati risolti. Bisogna ripartire dall’intesa di massima uscita fuori dalla riunione in prefettura: era stato dato mandato al sindaco di trovare alloggi provvisori per questi lavoratori. Chiederemo come FLAI CGIL di ripartire dal quel tavolo. Ognuno di noi deve ripartire dalle responsabilità che gli competono. Chiamiamo la Prefettura e ripartiamo da lì”.

Intanto la baraccopoli- tendopoli di Ciappe Bianche è tornata a ripopolarsi. Almeno 130 persone(lavoratori stranieri per lo più tunisini e marocchini), secondo i dati forniti dalle associazioni di volontariato, sarebbero presenti allo stato attuale all’interno di una “struttura” i cui residenti vivono in condizioni disumane.

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Cronaca

Randazzo, si finge carabiniere e tenta di truffare un’anziana, arrestato 19enne

La presenza del truffatore in casa della della donna non è passata inosservata ai vicini di casa che, insospettiti, hanno contattato il figlio della donna, il quale, a sua volta, ha chiesto aiuto ai militari

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Un metodo che, seppur noto e su cui si insiste con campagne di sensibilizzazione e informazione, continua a mietere vittime, proprio perché fa leva sulla pressione psicologica, sulla paura su quello che potrebbe essere definito “sequestro emotivo”. Ed ecco che il metodo del “falso carabiniere”, adottato da un 19enne di Catania, stava per portare a compimento una truffa ai danni di un’anziana.

Siamo a Randazzo, luogo in cui si stava consumando l’atto increscioso. La donna, una 86enne del posto, è stata agganciata telefonicamente da un interlocutore che, fingendosi un carabiniere ed inscenando il classico incidente stradale ai danni di un familiare, era riuscito a convincere l’86enne a farsi consegnare una finta cauzione per evitare l’arresto del parente, in questo caso, del figlio.

La donna, spaventata e impaurita, ha così aperto la porta al malvivente per poi consegnargli una somma pari a 1000 euro. La presenza dell’uomo non è però passata inosservata ai vicini di casa della donna che, insospettiti, hanno contattato il figlio della 86enne il quale, a sua volta, ha chiesto ausilio ai militari della Compagnia di Randazzo.

Una “Gazzella” si è recata prontamente sul posto sorprendendo il truffatore ancora in casa, con in tasca i 1000 euro e intento a convincere la vittima a consegnargli anche i suoi oggetti preziosi.

Il malvivente, già sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora a Catania per reati connessi agli stupefacenti è stato quindi arrestato per truffa e messo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria che, convalidato l’atto, ha disposto per lui gli arresti domiciliari.

 

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