Ha creato aspettative di alto livello – anche se poi saranno gli spettatori a dover decidere se le stesse saranno soddisfatte o meno – la nuova serie targata Netflix dal titolo “The Decameron”, ideata da Kathleen Jordan, uscita lo scorso 25 luglio sulla piattaforma a pagamento e che promette di voler sorprendere il pubblico che vorrà seguirla. Basata sull’omonima opera letteraria di Giovanni Boccaccio, del Decameron porta con se, forse, solo lontanamente l’ombra. L’atmosfera bucolica c’è, i luoghi amenici del capolavoro boccacciano pure, sullo sfondo la peste nera del 1348, ma niente di più. Tutto si ferma qui. Gli stessi personaggi si discostano da quelli originali: in comune hanno solo i nomi. Con lo scorrere degli episodi, 8 in tutto, risulta sempre più difficile immaginare la serie tv come una trattazione ispirata all’opera. Per il resto, siamo difronte ad una reinterpretazione in “american style” che porta con se tematiche che profumano di modernità e ironia (non di certo di quella che fa sempre sorridere) spingendo il tutto, quasi, al livello di soap opera con tanto di colonna sonora anni Ottanta. Se sei una professoressa di letteratura, potresti inorridire.
La vicenda che vede i personaggi in azione è a tratti grottesca, cringe e alle volte anche trash. I dialoghi sono poveri, banali e vuoti e molte volte restano a metà, all’aria. Classificata come dark comedy, non suscita sempre il riso, né il sorriso, ma alcune volte lo spettatore è pervaso da un senso di imbarazzo e forse di noia. Intrighi, complotti, alleanze fatte e disfatte, imbrogli, scambi di persona, amori saffici, tentazioni e peccati: questo è il pentolone in cui bollono tanti ingredienti del plot che forse, nemmeno rimescolandoli, riescono sempre a legare tra loro. Non c’è spazio ai sentimenti veri, anche se si può credere così ad una certa, ognuno persegue il proprio interesse personale.
Ma il mondo, soprattutto quello della cinematografia, è bello perchè anche vario. Per alcuni, comunque, qualcosa di interessante, nella serie, c’è. A partire dai temi trattati come la morte, gli eterni conflitti tra le varie classi sociali, le conseguenze psicologiche di una pandemia (ne siamo usciti anche noi da poco e forse questo tema è ancora a noi vicino), finanche alla libertà sessuale e il tradimento che secondo alcuni vengono trattati con “leggerezza potentissima”. Elemento apprezzabile – ma forse qui noi italiani lo viviamo maggiormente enfatizzandolo per il legame alla nostra terra – è la bellezza dei luoghi mostrati. La serie è stata infatti girata tra Roma e Viterbo, in degli splendidi giardini verdeggianti. L’ambientazione storica è stata ricreata con grande attenzione ai dettagli, con costumi e scenografie che trasportano lo spettatore direttamente nel medioevo. La fotografia gioca un ruolo fondamentale nel rendere vivide le atmosfere contrastanti. Avrei gradito, forse, qualche espressione più puramente italiana-fiorentina, piuttosto che solo qualche “viscontessa” e “padrona/e”. Il regista avrebbe dovuto dato quel tocco in più, quell’elemento di italianità che, a mio parere, la serie meritava.
Tante aspettative, tanta delusione.
Recensione a cura di “LA”