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Cultura

Don Ciotti: un uomo libero

Intervista al fondatore di “Libera” che parla della sua creatura, ma anche di tanto altro

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Proponiamo l’intervista di Angelo Signorello al sacerdote antimafia fondatore di “Libera” Don Luigi Ciotti

Don Luigi Ciotti, quando nasce “Libera” e quanti soci conta l’Associazione?
Libera nasce nel 1995, ma l’idea risale al ‘92, inizio del biennio delle stragi e degli attentati di mafia.  Prima ancora di essere un’associazione, Libera è un coordinamento di realtà, oggi oltre milleseicento, che si riconoscono nell’impegno civile contro le mafie e per la giustizia sociale.  Libera si fonda sul pluralismo, sulla diversità e la trasversabilità delle esperienze.  Crede nella corresponsabilità, nella capacità di ciascuno di contribuire al bene comune.

Scegliere tale vocazione comporta certamente dei rischi.  Da cosa è scaturita la sua missione?
Non la definirei missione.  Più modestamente, è un impegno che scaturisce dalla passione per la vita e per le relazioni umane, nella convinzione che solo insieme possiamo costruire una società dove ogni persona sia riconosciuta nella sua dignità.

L’educazione alla legalità parte dai bambini. Lei, comunicando con i più piccoli, come fa a spiegare la drammaticità del fenomeno delle mafie e come bisogna opporsi ad esse?
Occorre, infatti, chiamarla educazione alla responsabilità, non alla legalità.  La legalità non è un valore in sé, ma è lo strumento che salda la responsabilità personale alla giustizia sociale.  Ai bambini bisogna far capire, con l’esempio prima che con le parole, che le mafie si contrastano costruendo una società non egoista, non frantumata in mille interessi contrapposti.  E allora sono importanti anche i piccoli gesti: fare attenzione al compagno di scuola che fatica a studiare o che viene da una famiglia con meno mezzi economici, oppure dare una mano in casa, partecipare attivamente a quel primo nucleo sociale che è la famiglia.

Ci vuole rendere partecipi del momento più difficile e di quello più lieto che lei ha vissuto durante l’esperienza di “Libera”?
R. Faccio fatica ad individuarne uno in particolare. Quello di Libertà è un cammino collettivo dove ci si aiuta a superare le difficoltà ma anche a restare con i piedi per terra quando si arriva ad una meta.  Solo così gli ostacoli, inevitabili quando si costruisce un cambiamento, si trasformano in opportunità.

Antonio Di Pietro, Pietro Grasso, Antonio Ingroia, per citarne alcuni, sono ex magistrati approdati in politica. Cosa ne pensa di questo cambiamento di ruolo?
Penso che ogni persona abbia il diritto di impegnarsi in politica, come servizio alla comunità. Poi nel caso di magistrati, come quelli citati, o indagini delicate o presieduto processi importanti, sarebbe forse opportuno che tra l’uscita dalla magistratura e l’entrata in politica, ci fosse un intervallo per frugare il sospetto che l’attività giudiziaria sia stata influenzata da un orientamento di parte. Sono certo però che i magistrati che entrano in politica siano consapevoli di questo rischio e agiscono a ragion veduta.

La mafia non uccide quasi più come in passato, ha mutato la sua tattica e si espande più velocemente al Nord. A tal proposito, qual è la sua chiave di lettura?
L’insediamento delle organizzazioni criminali al Nord è più antico di quanto si pensi, le prime tracce risalgono infatti agli anni settanta e già nel 1983 la ‘ndrangheta uccise a Torino il magistrato Bruno Caccia.  Storicamente la mafia ha le radici al Sud, ma i frutti le raccoglie al Nord, nelle regioni più ricche. Oggi questa infiltrazione è diventata concreta presenza. Le cause sono molteplici, ma riguardano innanzitutto le grandi trasformazioni economiche degli ultimi vent’anni. Le mafie hanno colto le opportunità di una finanza globale che permette il trasferimento continuo e difficilmente controllabile di enormi flussi di denaro. Si è creato un intreccio sempre più forte tra una finanza speculatrice e spesso colpevole di vere e proprie truffe e capitali mafiosi riciclati e reinvestiti nel circuito economico. In tutto questo è vero che la mafia ricorre meno alla violenza esplicita, ma solo perché questo sistema permette di esercitare una violenza indiretta, più redditizia e meno preoccupante. L’idea che la diminuzione dei fatti di sangue equivalga ad un indebolimento delle mafie è un tragico malinteso: per i morti ammazzati che diminuiscono,  cresce a dismisura il numero dei morti vivi,  delle persone alle quali le mafie tolgono il lavoro,  la dignità, la libertà.

Secondo lei perché l’atteggiamento omertoso prevale ancora dinanzi alla nobile scelta di denunciare?
Non sempre è così, almeno, dove si sono create le condizioni affinché le vittime del racket,  dell’usura o i testimoni di giustizia non si sentono soli.  Il potere delle mafie dipende in gran parte dalla frammentazione e debolezza dei territori, dal vuoto di politiche sociali in grado di tutelare i diritti e garantire il lavoro, dall’assenza di comunità solidali capaci di difendere i singoli cittadini da violenze o prepotenze. Tutti dobbiamo sentire questa responsabilità.  Sconfiggiamo l’omertà, cioè il silenzio complice ed impaurito, soltanto interpretando il nostro ruolo di cittadini con l’impegno che ci richiede la Costituzione.

Come gestite gli immobili sottratti alla mafia?
Libera non gestisce direttamente i beni, ma promuove e sostiene le cooperative impegnate a farlo affinché diventino autonome e produttive.  A questo scopo abbiamo creato anni fa il marchio “Libera Terra” per agevolare la diffusione di prodotti che negli anni, anche grazie all’apporto di realtà sensibili del mondo imprenditoriale, hanno raggiunto alti livelli di qualità, a dimostrazione che si può unire il bene, il buono e il giusto. Questo vale ovviamente soprattutto per le cooperative agricole.  Ci sono altri beni, seguiti e sostenuti con altrettanta dedizione, che sono stati trasformati in scuole, biblioteche, centri d’accoglienza, luoghi di formazione per giovani, di socialità per anziani.  È una diversità e pluralità virtuosa perché ogni strumento utile a promuovere il lavoro e la cultura toglie spazi al potere delle mafie.

Don Pino Puglisi è stato beatificato nel 2013. Per la prima volta la Chiesa beatifica un martire della mafia.
È un grande riconoscimento, ma anche una grande responsabilità. Don Pino Puglisi, così come don Peppe Diana ucciso dalla camorra, è l’espressione di una Chiesa che interferisce, come ebbe a dire il boss Francesco Marino Mannoia. Beatificare don Pino vuol dire allora per la Chiesa continuare l’opera di denuncia iniziata da Giovanni Paolo II, proseguita da Benedetto XVI, e rafforzata oggi dalle parole di Papa Francesco rivolte ai mafiosi e ai corrotti. Parole che intendono sgombrare il campo dalle prudenze e ambiguità del passato e ricordarci che l’impegno contro la mafia e la corruzione non è solo politico, culturale ed educativo, ma necessariamente evangelico.

La Chiesa ha beatificato anche per il giudice Rosario Livatino, vittima anch’egli di “Cosa nostra”. Può regalare ai lettori un ricordo di questo “giudice ragazzino”?
Non ho conosciuto Livatino, ma ho avuto modo d’incontrare i suoi genitori.  Attraverso le loro parole, i loro ricordi, le pagine personali del figlio che mi fecero il dono di leggere, ho conosciuto un giovane uomo capace di interrogarsi con coraggio e di non cessare di chiedersi come magistrato se essere, prima che giudice, giusto.

Vige spesso il binomio vittima di mafia uguale eroe. Secondo lei chi si batte contro le mafie è da considerarsi un eroe oppure fa unicamente il suo dovere?
Credo che le persone che sono morte per aver contrastato le mafie, per prime rifiuterebbero di essere chiamate “eroi”. Sono persone che hanno agito secondo coscienza, che hanno fatto determinate scelte perché solo così si sentivano fedeli alla loro dignità. L’attributo di “eroi” rischia allora di essere un alibi per giustificare le nostre incoerenze e le nostre omissioni. Una vera democrazia non ha bisogno di eroi, ma di cittadini che vivono in fondo i propri doveri e le proprie responsabilità, affinché tutti possano godere appieno della libertà.

 

 

Cultura

Ragalna, Mille parole non basterebbero, una sinfonia sì

Presentato a Ragalna il secondo libro di Alfio Cartalemi: omaggio alla famiglia Chiara e alla forza educativa dell’arte

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Si è tenuta a Ragalna, presso il Palmento Arena e con il patrocinio del Comune, la presentazione del libro “La famiglia Chiara: Artisti per vocazione” del giornalista Alfio Cartalemi. L’evento, presentato da Mary Sottile, si è svolto in occasione del 40° anniversario dell’Autonomia e ha offerto intensi spunti di riflessione sul valore dell’arte, sulla memoria e sull’importanza della cultura come strumento formativo.

Alfio Cartalemi, al suo secondo volume dopo quello dedicato a Michelangelo Virgillito, ha spiegato la scelta della famiglia Chiara come protagonista del suo lavoro: una famiglia paternese dal grande talento musicale, che rappresenta un esempio virtuoso di dedizione e passione. Particolarmente toccante il ricordo di Benedetto Chiara, padre di Rosario, che fece parte della storica orchestra di Paternò. Il progetto editoriale, ha raccontato l’autore, ha preso forma durante il periodo della pandemia da Covid-19, un tempo di riflessione e riscoperta dei valori fondamentali.

Giuseppe Pappalardo, poeta e scrittore che ha curato la prefazione del libro, ha definito l’opera una “biografia meditata”. Secondo Pappalardo, il testo permette di distinguere tra talento, attitudine (cioè la capacità di trasformare il talento in abilità concreta) e musicalità, una qualità innata e misteriosa. Ha inoltre sottolineato l’importanza educativa del libro, che si contrappone alla cultura del “tutto e subito”, al consumismo e alla superficialità promossa dai social media. In questo contesto, la figura della famiglia Chiara si staglia come modello ispiratore per le giovani generazioni, sempre più disorientate da una “società liquida” — per usare le parole di Bauman — priva di punti fermi e progettualità.

La musicista e docente Norma Viscusi ha proposto un’analisi poetica e profonda dell’arte, intesa come espressione di vocazione e trascendenza. Ha messo in luce come la musica vada oltre il significato esplicito per accedere a un piano più alto, ineffabile, capace di comunicare ciò che le parole non possono esprimere.

L’intervento del professore Giuseppe Montemagno, docente di Storia Musicale presso il Conservatorio “V.Bellini” di Catania, ha confermato che il racconto del libro sul Maestro Chiara, tracciato dall’autore, corrisponde ad un periodo delicato e di trasformazione del Teatro Massimo  e del prestigioso Conservatorio; il Maestro Chiara oltre ad essere un ottimo violinista ha saputo alzare “la testa”.

La serata si è conclusa con l’esibizione dei violinisti Antonio Magrì e Angelo Di Guardo, noti come Violinisti in jeans ed ex allievi del Maestro Chiara, che hanno regalato al pubblico un momento di grande suggestione e intensità emotiva.

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Cultura

Ragalna, “La famiglia Chiara: Artisti per Vocazione”, il libro di Alfio Cartalemi

Torna con un nuovo lavoro dedicato al maestro di violino Rosario Chiara, in una lunga e appassionata intervista che diventa testimonianza di memoria viva

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A Ragalna nel 40° anniversario dell’Autonomia e con il Patrocinio del comune, si terrà  domani pomeriggio alle ore 19:15, presso il Palmento Arena, la presentazione del libro “La famiglia Chiara:  Artisti per Vocazione”, a cura del giornalista Alfio Cartalemi.

Dopo il volume destinato a Michelangelo Virgillito, pubblicato lo scorso anno, Cartalemi torna con un nuovo lavoro dedicato al maestro di violino Rosario Chiara, in una lunga e appassionata intervista che diventa testimonianza di memoria viva.

ALFIO CARTALEMI, L’AUTORE DEL LIBRO

Il giornalista, da anni impegnato nel recupero della memoria storica e culturale del territorio etneo, ci offre stavolta un ritratto autentico di una famiglia di musicisti, attraverso il racconto lucido e appassionato di Rosario Chiara, oggi ultranovantenne, ma ancora attivo e partecipe. Il maestro racconta la storia sua, del padre, del fratello e del loro profondo legame con la musica e con istituzioni prestigiose come il Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania e il Liceo Musicale, oggi Conservatorio.

Serata presentata dalla giornalista Mary Sottile. Interverranno alla presentazione del libro Giuseppe Pappalardo, poeta scrittore, che ha curato la prefazione del volume; Norma Viscusi, poetessa e musicologa, amica del maestro Chiara; Giuseppe Montemagno, dottore di ricerca in Studi sul patrimonio culturale, docente di discipline storico-musicali e teatrali presso il Conservatorio “V. Bellini” di Catania, che relazionerà sul valore dell’opera.

La serata si concluderà con un momento musicale di grande suggestione: i violinisti Antonio Magrì e Angelo Di Guardo, ex alunni del maestro Chiara e oggi celebri artisti come “Violinisti in jeans”, ambasciatori della Sicilia nel mondo, renderanno omaggio al loro maestro con un’esibizione dal vivo. Un’occasione speciale per riscoprire la memoria collettiva attraverso l’arte e la musica, immersi nella bellezza e nella frescura di Ragalna.

 

 

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