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giudiziaria

Paternò, diventa definitiva condanna all’ergastolo per Alessandro Alleruzzo

Il cinquantunenne è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio della sorella Nunziatina, assassinata con due colpi di pistola nel 1995, la prima sezione della Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa

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E’ diventata definitiva la condanna all’ergastolo per Alessandro Alleruzzo, 51 anni figlio del boss mafioso deceduto di Paternò, Giuseppe. Il cinquantunenne è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio della sorella Nunziatina, assassinata con due colpi di pistola nel 1995.

La prima sezione della Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa. Secondo l’accusa l’assassinio della donna sarebbe stato commesso perché la vittima avrebbe tradito il marito con esponenti del suo clan e di uno rivale. Il legale dell’uomo l’avvocato Roberto D’Amelio, ha affermato che attende “le motivazioni della decisione”, di continuare a “credere nell’innocenza” del suo assistito, che “non si arrende” e ritiene che sulla vicenda “non è stata ancora scritta l’ultima parola”.

La donna era scomparsa di casa il 30 maggio del 1995. I resti della donna furono trovati il 25 marzo 1998 da carabinieri della compagnia di Paternò dopo due telefonate anonime. Quel 30 maggio il figlio di cinque anni della donna disse di avere visto la madre uscire di casa con suo zio Alessandro. Secondo un pentito lo stesso Alleruzzo gli avrebbe “raccontato di aver ucciso la propria sorella per riscattare l’onore della famiglia”.

Per l’omicidio della sorella, Alessandro Alleruzzo, 51 anni, era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare eseguita da militari dell’Arma il 4 giugno del 2021. Ad alcuni compagni di prigione, quando era detenuto, aveva confidato che aveva sparato due colpi di pistola in testa a ‘Nunziatina’ e di averne poi “trascinato il corpo e di averlo buttato in un pozzo” per “riscattare l’onore della famiglia”.

A permettere di ricostruire dinamica e movente sono state l’inchiesta della Dda di Catania e le indagini dei militari dell’Arma della compagnia di Paternò dopo le rivelazioni di tre collaboratori di giustizia. Alessandro Alleruzzo è il figlio del defunto boss Giuseppe che negli anni ’70 e ’80 guidava il gruppo di Paternò di Cosa nostra, al centro di sanguinose faide mafiose, legato alla ‘famiglia’ Santapaola di Catania.

E’ anche cugino di Santo Alleruzzo, 68 anni ritenuto il reggente del clan fino al suo ultimo arresto avvenuto nell’ambito della operazione “Sotto scacco” della Dda di Catania. Nell’ambito di guerre di mafia il boss Giuseppe Alleruzzo subi’ l’assassinio della moglie e del figlio e per questo decise di collaborare con la giustizia.

 

amministrazione

Mascalucia, Mosema: 13 indagati per bancarotta fraudolenta, fra questi sindaci ed ex amministratori

L’inchiesta ha fatto emergere gravi irregolarità nella gestione economico-finanziaria dell’azienda

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La Procura della Repubblica di Catania ha notificato un avviso di conclusione delle indagini a 13 persone, accusate di bancarotta fraudolenta nell’ambito dell’inchiesta sul fallimento della Mosema, la società che si occupava della gestione dei rifiuti nel Comune di Mascalucia, dichiarata fallita nel 2020. L’indagine, coordinata dai pubblici ministeri Fabio Saponara e Margherita Brianese, è nata da una relazione redatta dal curatore fallimentare nominato per la gestione della società. L’inchiesta ha fatto emergere gravi irregolarità nella gestione economico-finanziaria dell’azienda.

Tra gli indagati, come riportato dal quotidiano La Sicilia, figurano nomi di rilievo delle istituzioni locali: l’attuale sindaco di Mascalucia Vincenzo Antonio Magra, l’ex primo cittadino Giovanni Leonardi, l’attuale presidente di Kalatambiente Concetta Italia, e il commercialista Fabio Sciuto.

Le accuse

Le ipotesi di reato si articolano in due distinti capi d’imputazione: la Manipolazione dei bilanci che riguarda -scrive ancora il quotidiano “La Sicilia”- gli ultimi presidenti del consiglio di amministrazione della Mosema: Concetta Italia, Gaetano Antonino Belfiore, Fabio Sciuto, Angelo Spina. Coinvolti anche il liquidatore Maurizio Verona, in carica dal maggio 2019, e i consiglieri delegati Maria LombardoGiuseppe Finocchiaro e Salvatore Fazio. Secondo l’accusa, avrebbero deliberatamente fornito dati falsi o omesso informazioni rilevanti sulla reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’azienda, già in crisi dal 2013.

Il secondo capo d’imputazione- si legge ancora nel quotidiano “La Sicilia”- coinvolge gli amministratori e funzionari del Comune di Mascalucia, socio di maggioranza della Mosema. Oltre ai sindaci Leonardi (in carica dal 2013 al 2018) e Magra (dal 2018), risultano indagati: Danilo Ambra, ex responsabile dell’area finanziaria Alfio Raffaele Gibilisco, ex responsabile dell’area tecnico-urbanistica, Filippo Pesce.

Secondo i magistrati, le condotte dolose degli indagati avrebbero causato direttamente il dissesto finanziario della Mosema, compromettendo definitivamente l’operatività dell’azienda pubblica.

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giudiziaria

Catania, inchiesta antimafia “Doppio Petto”, arrivano le prime condanne

Il GUP ha emesso, in primo grado e col rito abbreviato, 20 condanne per oltre 180 anni. Si tratta di persone vicine al clan Ieni, guidato dal boss deceduto Giacomo Maurizio, ritenuto ai vertici della cosca mafiosa Pillera-Puntina

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E’ arrivata la sentenza dell’inchiesta antimafia “Doppio petto. Il Giudice per le udienze preliminari Anna Maria Cristaldi ha emesso condanne per 20 persone per oltre 180 anni di reclusione.

Processo celebrato col rito abbreviato e che riguardato elementi vicini al clan Ieni, guidato dal boss deceduto Giacomo Maurizio, ritenuto ai vertici della cosca mafiosa Pillera-Puntina. A capo del gruppo ci sarebbero stati i figli del capomafia, Francesco e Dario Giuseppe Antonio Ieni, condannati, rispettivamente, a 20 anni e a 12 anni e otto mesi di reclusione.

Ai due fratelli il 16 ottobre del 2024 la polizia ha notificato un’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa emessa dal Tribunale del riesame che ha accolto un ricorso della Procura, presentato dall’aggiunto Ignazio Fonzo e dai sostituti Assunta Musella e Fabio Platania, contro la decisione del gip che aveva rigettato la misura per i reati di associazione mafiosa e l’aggravante mafiosa nei confronti dei due indagati.

Condannate per estorsione, rispettivamente a sette anni e sei mesi e a dieci anni di reclusione anche la figlia, Piera Liliana Ieni, e la vedova, Francesca Viglianesi, del capomafia deceduto.

I due fratelli Ieni, Dario Giuseppe Antonio e Francesco, e Francesca Viglianesi sono stati anche condannati a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali, con una provvisionale di 10.000 euro, all’imprenditore Angelo Di Martino, titolare di un’impresa di trasporti che il 4 dicembre del 2023 si è dimesso da presidente di Confindustria Catania dopo l’operazione ‘Doppio petto’.

Dall’inchiesta sarebbe emerso che avrebbe pagato il ‘pizzo’ al clan senza denunciare l’estorsione. L’operazione ‘Doppio petto’ della Squadra Mobile è stata eseguita il 1 dicembre del 2023, con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare per 18 indagati accusati, a vario titolo e con differenti profili di responsabilità, di detenzione e porto di armi, estorsione aggravata dal metodo mafioso, usura, trasferimento fraudolento di valori, associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
 

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